Capitolo VI
(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)
Le bombe e le palle di cannone lanciate dal nemico continuano
a distruggere le abitazioni del Borgo Ed una bomba disparata dalli Spagnuoli [il 21 gennaio 1719, ndr] diede in casa
del fu Antonino Micali, sotto il convento di San Francesco di Paola, abitando
in essa la signora Donna Vittoria Villano col figlio signor Don Antonio.
Ricoveratosi inoltre per timore di dette bombe, con avere slocato dalla loro
propria qual era nel quartiero di San Giacomo, il signor Don Antonino Marullo
de Alarcon e la signora Donna Clara, sua moglie, con molti loro nepoti, oltre
la servitù al numero di diece. E tutti radunati in una stanza. E benché avesse
disfatta e dirupata quasi tutta la casa, le sudette persone restarono illese,
non perciò senza spavento, rassembrando a chi concorse alle voci e grida tutte
estatiche e fuor di sentimenti. E fu necessario togliersi l’impedimento e di
pietre e legni ed altri materiali per uscire dalla stanza ove si retrovavano,
poiché la bomba crepò in altra camera collaterale con quella nella quale
commoravano.
Di più vi furono
disparate due palle di cannoni che colpirono una nella casa del fu mastro
Stefano Cicirello e l’altra in quella di padron Gaetano Oliva, nel quartiero di San Domenico. E benché vi fossero
state molte persone in dette case, non patirono lesione alcuna, con aversi
bensì disfatto le case sudette.
Giungono da Tropea dodici navigli carichi di viveri,
ma la carestia non cessa. Diserzione di tre soldati spagnoli: riferiscono che
nel campo si trovano denaro e viveri a sufficienza, ascendendo il numero dei
militari, tra fanteria e cavalleria, a 18.000 unità. L’istessa
notte [del 21 gennaio 1719, ndr] vennero
dodeci felughe da Tropea cariche di vittovaglie, farine, carni salate ed altri
viveri. Non perciò cessò la carestia. In detto giorno desertarono dal campo spagnuolo
tre soldati di fanteria, retirandosi con molto pericolo in città per essere
stati scoperti nella fuga. E li furono disparate molte scopettate, bensì
remasero inlesi. Asserirono questi esservi nel campo dovizia di denari e di
vittovaglie, con provisioni di guerra a sufficienza; e ritrovarsi da 18 mila
soldati tra fanteria e cavalleria.
22 gennaio 1719
Continuano i
bombardamenti in città causando
morti e feriti 22 gennaro. La carestia persisteva in città molto atroce. E
benché avessero venuto il giorno antecedente alcuni viveri da Tropea (come si
disse) non perciò li poveri abitatori si puoterono sfamare. Le truppe nondimeno
principiarono ad aver la sua solita provisione del pane di monizione di rotolo
uno al sottile il giorno, con tutto che pria era di onze trentasei per li tedeschi,
dalli quali si tolera colla promissione che s’aumenterà il mancamento o con altre
provisioni di companatico, o in denari. Continuavano gagliardamente le batterie
di cannoni e di bombe con mortari di pietre d’una parte e l’altra: e nella
notte morirono molti soldati, ed altri restarono feriti, delli quali alcuni con
poca speranza di vita per le pietre, al numero più di venti, come per la
relazione veridica s’osservò.
Una bomba (tra
l’altre) disparata dalli Spagnuoli crepò dentro la casa di padron Francesco
Micali, nel quartiero di Giesù e Maria la Vecchia, con aver rimasto la casa
dell’intutto fracassata e dirupata, per aver entrato dentro una gisterna nella
casa sudetta. E la moglie del Micali precipitò in detta gisterna e non morì, nemeno
restò ferita, bensì tutta rotta ed addolorata e patì molto per recuperare la
salute.
La carestia costringe alla vendita di carne avariata
In
detto giorno, con tutto il soccorso venuto da Calabria per provisionarsi la
città di viveri, atteso la penuria del comestibile, si vendette la carne di bue
vecchio e fetido - che in altri tempi s’avrebbe venduto al più a grana quattro
il rotolo opure data a credito col detto prezzo alle povere feminicciole per
filar lana o lino, o meglio s’avrebbe gettato a cani - a tarì tre il rotolo
nella beccaria e macello, per conto di N.N. affittato, ed alle volte nella sua
propria abitazione, con tutto che fosse stata terrana con una sola stanza, con
un beccaio che divideva la carne in sua presenza. Per certo che non avrebbe
questo potuto resistere in piedi per la molta assistenza somministrata, se non
fosse stato giovanetto e gagliardo. Si loda dunque la sua diligenza per avere
processo per lucrarsi cossì nella carne, come in altre comestibili venduti.
Ribasso del prezzo dei viveri L’ova di
galline che avevano sormontato al prezzo di grana otto, diece ed alle volte
dodeci, si principiarono a vendere a grana 4 - 5 [e] 6 per averne venuto da
Calabria in molta quantità. Le galline, sormontate al prezzo di tarì 15 l’una,
in questo giorno si vendettero a tarì cinque - o meno pochi grana - l’una. Le
farine, che giorni innanzi s’avevano vendute a tarì trentanove in quaranta il
cantaro, venute da Calabria, nel principio montarono al prezzo di tarì due e
grana diece il rotolo al sottile senza crivellate, vendendosi dall’istessi
habitatori, quando che si vendevano così in grosso, come a minuto (come s’ha espressato),
et in detto giorno si venderono almeno a tarì uno il rotolo.
Morte di Girolamo Massimiliano Zumjungen, ufficiale
tedesco, nipote del generale Zumjungen, sepolto in prossimità della chiesa dei
Cappuccini, ove venne eretto un monumento che ancor oggi ne perpetua il ricordo.
Lapidi nelle pubbliche strade in memoria di altri militari “eretici” deceduti a
Milazzo
Morì di febre un nepote del signor generale Giovanni Gerolamo Zumjunghen,
comandante, che si retrovava officiale nelle truppe tedesche. Si sepellì
l’appresso giorno, li 23 del detto gennaro, vicino il convento de’ PP.
Cappuccini, per esser eretico luterano come il zio. Havendo seguito la funzione
con molta pompa, intervenendo molti signori officiali e soldati tedeschi sin al
sepolcro. Anzi, molt’altri officiali della stessa nazione, che morirono in
questa città, per esser pure eretici di più sette si seppellirono nelle strade
remote. Ed alcuni si fecero fare doppo la morte, per la commissione lasciata,
molte lapide per conservarsi la memoria nelle publiche vie, come se ne vede una
vicina la Marina, vicino un magazeno del signor Don Giovanni Cirino, dalla
parte di sopra.
Diffusione delle epidemie tra i soldati e anche tra
i cittadini, con centinaia di decessi al giorno. Penuria di strutture in cui
curare gli infermi: militari austriaci assistiti nelle singole abitazioni e
quelli piemontesi nell’unico ospedale esistente, quello allestito nel Duomo
antico entro la cittadella fortificata, ove tuttavia il sovraffollamento e la
mancanza d’igiene causavano ulteriori decessi Infermitadi così
delli soldati, come delli cittadini, s’hanno avanzato in eccesso, correndo
molti pestilenziali e maligne, numerandosi quasi centinaia il giorno di morti.
Poiché di quelli che avendo cascato infermi pochi s’hanno guarito. E s’ha
osservato, inoltre, che in quella casa che uno s’infermava difficilmente gli
altri restavano esenti a non patir l’istesso morbo.
Di più gli
soldati tedeschi, per non aver ospedale ben regolato e determinato, ma solo
alcune casuncule, nelle quali retrovandosi [si
ritrovavano, ndr] affollati gli infermi, gettati sopra il nudo suolo e nel
terreno, con una pietra per capezzale, senza gli medicamenti opportuni e
necessarij. Retrovandosi solamente l’ospedale delli Savoiardi e Piemontesi,
sotto la cura del signor comandante Missegla, nel Duomo nella Cittadella con
alcuna regola e metodo (benché non opportuna), con l’assistenza del [medico, ndr] fisico e del chirurgo e
sussequentemente colla guida e vigilanza [militare,
ndr] del signor marchese d’Andorno generale (come esplicai).
E tutto ciò -
per la quantità degli infermi e per la puoca attenzione e cura, e per non
purificarsi il vaso del Duomo cogli profumi per togliersi il fetore, tanto che
recando [provocava, ndr] nausea a
tutti quei che per necessità dovevano entrare in detto ospedale - il fisico
(qual era cittadino) più e più volte si scusò [rifiutò, ndr] seguire la cura dell’infermi, attestando che in ogni
modo s’avrebbe infettata l’aria. E senz’alcun dubio detti infermi avrebbero
remasto morti e per il morbo, e per la corruzione che si generava in detto
ospedale, e per l’infettione cagionata nell’alito d’un infermo con l’altro,
stante la strettezza del luogo, ritrovandosi il più delle volte da 400 in 500
ammalati.
Pianta sulla Battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718 pubblicata nell'opera intitolata
Das offt gedrückte und nun herrlich erquickte
Königreich Sicilien
etc., Amburgo e Lipsia 1720.
Molti milazzesi s’improvvisano commercianti, acquistando viveri che poi rivendevano ai propri concittadini
a prezzi esorbitanti: una speculazione condannata dall’autore Continuava pure, come pria, da più mesi - come in
avvenire seguì l’istesso persistendo in città l’Assedio strettissimo delli
Spagnuoli - la poca fedeltà nell’abitatori, anche tra congionti, specialmente
nella plebe. Poiché molti di questi e quasi tutti si diedero ad esercitar il
mistiero di vendere e comprare come potersi; li più vili viveri come tonnine,
legumi, ogli, carni salate ed altri, nelle publiche piazze della città, a
carissimo prezzo ed a suo gusto, assassinando non solamente gli soldati, pure
li compatrioti. Non pagando [inoltre,
ndr] alcuno dritto, con ingannare e nel peso e nella misura senz’alcun
riguardo, né della loro coscienza, né della convenienza ed equità dovuta. Anzi
se questo fosse stato esercitato solamente dalli plebei non avrebbe recato
speciale ammirazione, ma molti e molti che si reputavano onorati, come
arteggiani, da principio fecero l’istesso mestiero nelle loro case, ma poscia,
dedicati al guadagno e lucro esorbitante, non attribuirono a vituperio
esercitarlo nelle strade più frequentate, per avere smaldimento delle loro
merci comestibili. E finalmente alcuni, nonché cittadini, de’ principali
attesero a far fare compra di qualunque sorte di viveri, ancorché grossi e di
vile carato, dalli loro familiari, per venderli doppo a prezzi così esorbitanti
che sembra strano a chi l’intende.
Un foglio di
carta bianca due grana, il sale grosso a tarì 50 il cantaro, et a minuto, il
sottile a più caro prezzo. Il zucchero della più bassa qualità a tarì sei il rotolo,
il pepe a tarì dodeci il rotolo, la cannella ordinaria a onze 6 il rotolo. E
così nell’altri merci che per brevità non si descrivono. Infine si vendette
dalli Calabresi carne salata in salmoia bensì o di cavallo o d’asino a grana
trenta e ventiquattro il rotolo, col pretesto esser bovina. E pure il tutto
avrebbe stato soffribile, se detti viveri s’avessero venduto dalli forastieri.
Almeno da questi si poteva asserire che per condurli pericolavano la vita o per
alcun accidente di tempo contrario, o per venti validi, o per esser soggetti ad
essere predati dalli corsari nemici, come spesse volte seguì, col naufragio
d’alcune imbarcazioni, sommersi gli conduttori, e soppresa dell’altre da detti
corsari.
Ma che si
comprassero detti viveri ed altri merci di baratto dall’abitatori e doppo dalli
medemi si vendessero a prezzi molto esorbitanti col guadagno più del quatuplo (alle
volte in poche ore, nonché giorni) alli loro compatrioti con molta
sfacciatagine - ingannando allo spesso e nel peso, e nella misura - sono
azzioni che hanno dell’incredibile. E pure in questa guerra apertamente si
pratticò senza scrupolo alcuno.
Comportamento poco leale di un sacerdote nei
confronti di un suo creditore, al quale fu promesso del vino. Seguì pure un
caso. D’una parte s’ammira [che] l’eccesso nel pratticare si fece pure da
persone ecclesiastiche nella presente guerra (puotendosi far reflessione delli
maggiori adoprati dalli secolari) e dell’altra per aver trattenimento giolivo
il lettore nel leggere tante e tante turbolenze successe in questa città
coll’opre ingiustamente fatte d’alcuni per la loro ingordigia.
Un cittadino
onorato creditore d’un buon sacerdote, oltre gli oblighi da questo all’altro
dovuti, per la scarsezza che versava di tutto specialmente di vino, con ogni
confidenza li richiese una quartara di vino, gia[c]ché ne teneva il sacerdote
molta quantità nel magazeno per esser molto commodo e vendendolo in grosso. Non
avendo scusa il medemo di far la negativa nella faccia del cittadino [Non avendo il medesimo sacerdote il coraggio
di rifiutarsi di presenza, ndr], anzi colla promissione di consegnarlo
allorché avrebbe fatto la provisione per la sua casa. E benché più e più volte
avesse condotto il vino nascostamente in casa, per restar insciente l’amico fu
trattenuto più d’un mese con buone parole. Alla fine non puoté conseguire il vino, col motivo d’essere
disbrigato e venduto. Perloché da molti cittadini familiarmente si discorse tal
azzione, rimproverandosi il sacerdote. E puoco mancò che non avesse seguito
alcun contrasto per aver entrato il puntiglio. Ma per la bontà del creditore
(benché burlato) si sussegò il negozio, restando solamente in tutta la città le
mormorazioni per il malissimo tratto d’un sacerdote.
23 gennaio 1719
Continuano i bombardamenti, uccidendo militari
d’ambo gli schieramenti e distruggendo fabbricati. Sbarco di 400 fanti tedeschi venuti da Tropea.
Arrivo di viveri da Napoli e Tropea. Schifazzo proveniente dalla Calabria, carico
di farine destinate a Milazzo, depredato in prossimità del Capo da altre
imbarcazioni vicine agli Spagnoli 23 gennaro. Non ebbero tregua alcuna le
batterie di cannoni e bombe d’ambe le parti, anzi col disparo commune di
quantità di scopettate nelle trinciere, seguendo la morte di diversi soldati,
specialmente di granatieri di Savoja e Piemonte della nostra parte, colla
presupposizione d’aver sortito l’istesso nelli Spagnuoli. E s’osservò in questo
giorno che, con tutta la quantità di bombe e cannoni disparati in città, non
sortì alcun danno nelle persone, bensì avesse restato in più luoghi essa città
disfatta col demolimento di più case. Disbarcarono doppo magnare quattrocento
fanti tudeschi venuti da Tropea sopra alcune tartane, molto affannati per avere
stato più e più giorni sopra il mare per il tempo cattivo e venti contrarij,
essendo tutti sudetti soldati del regimento del colonello Bayrad. E riferirono,
assieme con li padroni dell’imbarcazioni che li condussero, dover venire fra
breve altre truppe.
Inoltre, vennero
altre imbarcazioni da Napoli e Tropea con aver condotto molte provisioni di
viveri, carni salate ed animali bovini e minuti per conto di particolari, con
aver affermato che fra pochi giorni sieguirà l’istesso. E con tutto ciò la
città non si puoté sfamare per essere stata molto angustiata senz’alcuna sorte
di vettovaglie. Di più, quattro felughe lunghe, corsari e di Lipari e di
Messina, trattenute a favore del nemico Spagnuolo, predarono sopra il Capo di
questa città uno schifazzo pieno di farine, qual veniva da Calabria per
provisione di questa città.
Giungono da Napoli diverse tartane cariche di bombe,
granate e cavalli. Arriva in città, a bordo d’una tartana, Don Giacomo Fusari
Grimaldi per ispezionare le operazioni militari Nel medemo
giorno sul tardi giunsero molte tartane da Napoli col carico di cinquemila
bombe e granati reali. E sopra due tartane ben grosse e corredate, una francese
e l’altra di Genova, sessanta cavalli. Venne pure sopra dette imbarcazioni un
espresso inviato da Roma dall’ambasciadore cesareo in quella corte, l’eccellentissimo
signor conte Galas, al signor generale Zumjunghen, comandante tudesco in questa
città per la Cesarea e Catolica Maestà. Quale serio è della terra di San
Fratello nel nostro Valdemone, in questo regno di Sicilia, nomandosi signor Don
Giacomo Fusari e Grimaldi, con aversi da più tempo trattenuto da gentiluomo
nella corte di detto signor marchese [conte,
ndr] Galas, ambasciatore, per aver anni a dietro fatto partenza del regno per
causa dell’interdetto (come lui ha publicamente dichiarato). Ed ebbe in questa
continui e familiari discorsi col detto signor generale Zumjunghen, con aversi
trattenuto per tutto il tempo che commorò in questa nel medemo convento di San
Domenico, ove albergava il medemo signor generale. E per quanto si puoté penetrare, il sudetto inviato fu rimesso per
raguagliare con ogni accortezza il seguito della presente guerra, per esser
realmente soggetto molto perspicace e di sottile intendimento.
24 gennaio 1719
Morti e feriti nelle trincee. La casa di Pietro
Guerrera viene colpita da una palla di cannone, ma i soldati che la occupano rimangono illesi. Sbarco di una compagnia di granatieri tedeschi giunti da Tropea 24
gennaro. Nelle trinciere fatte contro gli Spagnuoli morirono in questo giorno
quattro soldati e molti restarono gravemente feriti con le pietre gettate da’
mortari delli sudetti Spagnuoli. Fu continuo il fuoco dal mattino sin a sera
della batteria di cannoni disparati, specialmente dal forte del Purracchito
contro questa città, senza alcuna intermissione di tempo, col gettito di
quantità di bombe, fracassando quantità di case, senza danno alcuno di persone.
E benché una palla di cannone del forte sudetto avesse dato nella casa del
signor Pietro Guerrera, nel quartiero di Santa Caterina, trapassando tre camere
continue tutte abitate da tedeschi, tutti restarono illesi. Fracassata bensì
una fenestra, ove entrò, e due porte con l’altri mura per insino corse. Pure
disbarcò una compagnia di granatieri tudeschi del riferito regimento di Bayrad
venuta da Tropea.
25 gennaio 1719
Ancora case distrutte, morti, feriti e danni ad alcune imbarcazioni 25 gennaro.
Seguirono al maggior segno le batterie di cannoni contro la città, con il
disfacimento di più case, con aversi gettato la notte precedente molti mortara
di pietre. Perloché sortì la morte d’alcuni soldati nelle nostre trinciere,
oltre la quantità delli feriti, ed alcune cannonate molto danneggiarono alcune
imbarcazioni sino al Capo di questa.
Diserzione di un caporale spagnolo che riferisce
informazioni poco attentibili Comparì all’alba un caporale spagnuolo
avendo desertato dal suo campo. Era di Madrid, referì molte relazione, ma si
conobbe non esser veridiche, dettate o per suo proprio genio o per non
penetrarsi il vero col suo attestato. O pure per esser di puoca perspicacia e
non aver badato a discernere la distinzione del seguito. Ma spesso procede il
tutto per tema [per timore, ndr] che
propalandosi [divulgandosi, ndr] l’opre
d’un esercito non recasse pregiudizio all’esploratori, con tutto che se ne
fuggissero, anzi col pericolo di perder la vita tutte le volte fossero
trattenuti nella fuga, o per qualunque accidente retornassero nelle milizie che
colla fuga abbandonarono.
Trasferimento a Tropea dei soldati feriti a causa della mancanza
di ospedali e della penuria di medicine
Ritrovandosi copiosa quantità d’infermi tudeschi e di Savoja e di
Piemonte ed in nessun modo puotersi attendere alla loro cura, cossì per mancanza
d’ospedali ben regolati e di medicamenti necessarij, come per esser realmente
più e più centinaia, s’ordinò che s’imbarcassero per Tropea, avendo seguito la
partenza di trentacinque soldati tedeschi e più di cento dell’altri.
26 gennaio 1719
Le pietre lanciate dai mortai spagnoli provocano
nuovi decessi nelle trincee. Diserzione di altri militari spagnoli, i quali
riferiscono che il campo abbonda di viveri, ospitando 14.000 militari. Altre
case al Borgo danneggiate dalle bombe e penuria di viveri. Ancora morti e
feriti (alcuni mutilati) nelle trincee austro-piemontesi a causa delle pietre
lanciate dagli Spagnoli 26 gennaro. Fu in questo giorno fervoroso il
rimbombo continuo delli cannoni e bombe delli Spagnuoli contro la città e nelle
nostre trinciere, nelle quali perirono molti soldati che si retrovavano di
guardia per la quantità di pietre in esse gettate: servendosi gli Spagnuoli
delli mortari con pietre, avuta la notizia che molto danneggiavano le nostre
truppe in dette trinciere, per non aversi ritrovato sin al presente ricoperti
con tutta la regola militare. Il che poscia s’eseguì, e cossì si venne a
scemare in parte il danno sortito.
Bensì non si
cessava da questa città e da fuori d’esercitarsi il fuoco pure continuo per
tutto il giorno e di cannoni, e di bombe, e con pietre nelle trinciere delli
Spagnuoli. E si ebbe notizia veridica che consequivano danno notabile non solo delle pietre, ma di molte
palle di cannoni disparate a colpi giusti nelli loro forti.
Desertarono pure
in questo giorno dal campo spagnuolo cinque loro soldati con un sargento. Riferirono
esser abbondante detto campo di viveri, con ogni commodità di spendere
liberamente; e retrovarsi otto reggimenti ben fioriti di bravi soldati al
numero di 14 mila.
Fra l’altre
bombe disparate in città due creparono in aria, l’una e l’altra nel Borgo
vicino il convento di San Domenico, molti pezzi delle quali fracassarono le
case di padron Vincenzo Buccafusca e di Mariana Bonaccurso, puoco distanti
l’una dell’altra, entrando dalli canali e fenestre. E benché fossero state
terrane e picciole, piene di quantità di persone affollate per necessità della
guerra: non seguì danno alcuno di esse, ma precipitati gli tetti e disfatto il
mobile.
Non cessava la
carestia, rendendosi la fame intolerabile per mancanza di viveri. Ed il peggio
era che gli poveri non solamente pericolavano la vita, per non esserci
comestibile, pure quella poca quantità che con industria si puoteva ritrovare,
ed a prezzo esorbitante, non avevano formalità di comprare. Nonostante le bombe
e cannoni disparati dalli Spagnuoli per tutto questo giorno, pure nella notte
non cessarono le pietre nelle nostre trinciere scagliate, ove restarono molti
uccisi ed in quantità feriti. E alcuni stroppiati, chi senza un braccio e chi
senza un piede, se pure restarono in vita.
27 gennaio 1719
Continuano le diserzioni dal campo spagnolo. Sbarco
al Capo di fanteria tedesca trasportata, con munizioni e viveri, da Napoli e dalla Calabria a mezzo tartane 27 gennaro.
Venne all’alba un soldato granatiero di Piemonte in questa, avendosene fuggito
dal campo spagnuolo nel buio della notte passata. Asserì che, avendo rimasto
prigioniero nella città di Palermo, prese partito nelle truppe Spagnuole. Ed
avuta in quella notte l’occasione pronta, per ritrovarsi nelle trinciere di
guardia, prese la fuga. Come pure sul tardi venne da detto campo altro
desertore di nazione tudesco. Né l’uno, né l’altro riferirono cosa di sodo,
perloché non si fece reflessione alcuna sopra il loro racconto.
Nell’istessa
notte antecedente disbarcarono nel Capo di questa città molte fanterie
tudesche, con alcune provisioni di guerra e di viveri, condotte d’alcune
tartane che vennero da Napoli e Santa Eufemia in Calabria. E la sera ben tardi
disbarcarono altre truppe tudesche con consimili provisioni. Riferirono esservi
grandissimo provedimento di truppe in Napoli e per tutto quel regno ed in
Calabria, dovendosi tutte conferirsi in questa città.
Catturato dagli austriaci l’equipaggio d’una barca
da pesca di proprietà del sacerdote Matteo Buccafusca che riforniva
abitualmente le truppe spagnole Nella medema notte fu predata una barchetta
del sacerdote Don Matteo Buccafusca, con sei marinari e con alcune reti da
pescare, da un Pinco armato che scorreva in questi mari al servizio della
Maestà Cesarea Catolica. Essendo le persone tre di questa città, due fratelli
ed un figliuolo dell’uno di casa Cullura, e l’altri tre di Palermo. E tutti
furono posti in carceri ove commorarono per alcuni giorni. E doppo ottennero la
libertà colla perdita della barca, poiché la detta barchetta avea disbarcato
nel campo spagnuolo molta provisione di viveri, con l’intelligenza del
Buccafusca padrone di detta barca, il quale sempre commorò in detto campo dal
principio dell’Assedio, anzi più prima, sin al fine. E seguì detta preda nel
mar da dietro e quasi nella ripa vicino al campo sudetto.
E così
s’attribuì a miracolo a pro del sudetto sacerdote di Buccafusca per non aversi
retrovato sopra detta sua barchetta, conforme di continuo pratticava o
esercitando la pesca con dette reti, o conducendo viveri in detto campo spagnuolo,
per lucrarsi e dell’uno e dell’altro mistiero, per essere prattichissimo
d’entrambi. Poiché se avrebbe venuto prigioniero cogli altri, inremissibilmente
pericolava la vita, mentre il signor comandante Missegla li teneva in malissimo
concetto. Ma con giusto motivo, avendo avuto notizia che, nel passaggio che
fece l’armata Spagnuola in questi mari, lui fu il primo a condursi nelle navi
nemiche, solo per lucrarsi colla vendita d’alcuni viveri che li recò. Anzi
esercitò tal mistiero ritrovandosi il campo nella Piana. E spesse volte fu
invigilato per inciampare e sempre restò illeso con detta sua barca.
E conoscendo che
si manifestarono questi azzioni al detto comandante Missegla, si retirò cogli
Spagnuoli, non retornando più in città. E con tutto ciò li suoi congiunti,
specialmente la madre, interposero le loro fervorose instanze col mezzo del
Padre Lettore Fra Rajmondo Proto, domenicano, al detto signor comandante, acciò,
disingannandosi dal rappresentato contro sudetto sacerdote di Buccafusca per
esser opra d’emulazione, li dasse il permesso di retornar liberamente in città.
E benché recalcitrasse molto il comandante sudetto, nientedimeno s’appagò a
contemplazione del Padre Proto, dal quale s’ottenne il permesso in scriptis. E con tutte queste preserve
il sacerdote Buccafusca non volse condescendere al retorno e, strettosi l’Assedio,
il Buccafusca restò nel campo. Il Padre Proto, deluso, ed il comandante, con
l’impressione del mal termine adoprato. Per onde, se era preso sopra detta
barca, il Buccafusca avrebbe sofferto alcun infortunio ancor colla perdita di
sua vita. E con puoca sua sodisfazione.
Ancora morti e feriti nelle trincee a causa delle
pietre lanciate dai mortai Pure in tal giorno non cessò il fuoco né dell’una,
né dall’altra parte, seguendo la morte d’alcuni soldati con altri feriti nelle
trinciere per causa di gettarsi molte pietre, disparandosi molti mortari. E
nella città non seguì danno alcuno di persone, solo il disfacimento delle case
in più parti.
28 gennaio 1719
Diserzione di un soldato spagnolo che riferisce di diversi
morti e feriti tra le truppe, anche a causa delle cannonate sparate dal
bastione di S. Maria, entro la cittadella fortificata. Riferisce ancora di penuria
di denaro e di viveri nel campo. Circola la voce che il Re di Spagna abbia
promesso d’inviare al più presto soccorsi 28 gennaro. Venne questa mattina
un soldato spagnuolo di Valenza, desertato dal campo. Riferì che il cannone del
bastione di Santa Maria, nella Cittadella di questa, molto ha danneggiato le
truppe con l’uccisione di più soldati, colpendo appunto e nelle trinciere, e
nelli forti dalli Spagnuoli dirizzati. E che le bombe e le pietre scagliate e
nel campo, e nelle trinciere, puoco offendono alle squadre, per aversi ordinato
in dette Trinciere quantità di tavoloni per custodia. Bensì nel giorno
antecedente furono con una palla disparata dal comandante nel detto bastione
uccisi cinque soldati spagnuoli, restando molt’altri feriti.
Di più affermò
correre gravissime infermitadi nelle squadre ed esserci scarsezza di denaro,
perloché si diede ordine espresso che dovesse accettarsi tutta la moneta di
Spagna dalli venditori nel campo, con tutto che fosse mancante, poiché pria non
era ricevuta, atteso il mancamento sudetto. Inoltre non concorrere più gli
paesani a condur vettovaglie per vendersi, poiché gli soldati non li volevano
pagare la robba, onde molto pativano di viveri, non volendo nemeno gli
officiali dar la providenza acciò gli soldati si puotessero lucrare,
ritrovandosi in generale la scarsezza sudetta.
Di più retrovarsi
nel campo nemico ventotto regimenti, entrando di guardia nelle trinciere ed in
altri posti ogni sera ben tardi sette battaglioni, che persistevano due giorni
continui. E finalmente che il signor comandante speciale notizia dal suo Re
Filippo Quinto, che persistesse nell’assedio con ogni attenzione, che ben
presto avrebbe conseguito da Spagna il soccorso necessario. Se ciò fosse stato
vero non si può affermare, per non sapersi se la relazione fosse certa.
Il Wallis ordina l’abbattimento di altri fabbricati
allo scopo di recuperare legname per cucinare e per infornare il pane per le
truppe
Per mancanza di legna in questa città a quei officiali tudeschi colle loro
truppe che la presidiavano, col pretesto d’esserci necessità di far campagna
rasa nella parte inferiore della città, si sfabricarono molt’altre case e
magazeni, insistendo gagliardamente il signor generale Vallais. Il che
rassembra incredibile che, necessitando legna per cocinare gli soldati cogli
officiali, e per farsi il pane per le truppe, si demolissero senz’alcuna
circospezione le case delli poveri cittadini. E pure seguì, non puotendo nemeno
dar le sue querele gli abitanti al sudetto signor Vallais generale, per aversi
osservato più volte rendersi infruttuose. Solamente offrirono con dolori
eccessivi questi danni, raccomandandosi a Dio, per non impatientarsi. Anzi non
si diede alcun riparo né dal detto signor Vallais, né dagli altri, che gli
soldati non demolissero più e più case nel Borgo della città e sotto le mura
della Cittadella e dentro d’essa, ed in altre parti convicine. Specialmente
quelle che non erano abitate dalli padroni o per aver rimasto nella Piana o
retiratosi nel Capo per timore. E cossì evidentemente si scorgette che volevano
sfabricare case per li legna e non per far campagna aperta, come si
protestavano. Onde si considerò che non potendo li poveri cittadini alcanzare [conseguire, ndr] cosa di buono per non
demolirsi le loro case, ricorsero alli spettabili giurati della città per
rappresentare le loro afflizioni così al signor generale Zumiunghen,
comandante, come al sudetto signor Vallais. E ciò nonostante si continuò la demolizione
di dette case o per non aver avuto luogo la ragione apparente di detti signori
giurati o forse per non aversi ingerito l’istessi per la defenzione di un
publico laqueato.
Soldati saccheggiano le case bombardate Al solito fu
molto continuo il disparo delli cannoni e bombe disparate in città dal campo
spagnuolo, esercitando il consimile quello di questa città e delli bastioni di
fora contro gli nemici. E benché non avesse seguito danno di abitatori,
nondimeno restarono molte case sconquassate ed altre dell’intutto dirupate con
la perdita di tutto il mobile di quelle case che in tutto o in parte si
demolivano. Stante che data una bomba in alcuna casa, e quella dirupata, se si
retrovava albergata da paesani, questi per il timore fuggivano, e se era serrata
pure per alcun accidente l’assaltavano nell’instante molti soldati, quali
facevano il sacco di tutto quello che in essa era riposto. E ciò seguì dal
principio che si gettarono le bombe sin al fine dell’Assedio. E per nessun modo
si puoté evitare tal inconveniente cossì infausto e miserabile, per non dir
crudele e mai praticato.
29 gennaio 1719
Informazioni di dubbia attendibilità sul campo
spagnolo da due disertori delle truppe spagnole 29 gennaro.
Desertarono in questo giorno dal campo spagnuolo due soldati del regimento di
Burgos. Riferirono esservi in quello da 14mila fanti, oltre la cavalleria, e
ritrovarsi pure grand’abbondanza di viveri. Bensì a tali desertori non si può
dar credito alcuno, poiché d’un giorno all’altro tra loro discordano.
Le artiglierie danneggiano due case al Borgo, quella
del maestro Antonino Trimboli al Borgo, saccheggiata dai soldati ed ubicata
sotto la chiesa di S. Gaetano o di Maria SS. della Catena, e quella di un
Cesare Irato Dalla
notte antecedente sin all’alba continuamente si fecero a sentire le bombe,
disparandosi pure mortari di pietre nelle trinciere d’una parte all’altra. Ed
inoltre si dispararono nelle dette trinciere più migliara di focillate,
perloché molti furono uccisi ed alcuni gravemente feriti, così di soldati
tudeschi come piemontesi e savoiardi. Ed il fuoco delli cannoni e bombe
persistette dalla mattina sino la sera, numerandosi più di mille. Restando gli
poveri cittadini nonché storditi per il rimbombo frequente, spaventati al
maggior segno, per timore di non perder la vita disgraziatamente. Avendosi
osservato che il cannone nemico abbia perlopiù tirato nella parte inferiore
della città, ove, per la vicinanza e per esser le case più contigue, seguì in
esse danno notabile. Come pure tra l’altre fu disparata una bomba, quale
fracassò in tutto la casa di mastro Antonino Trimboli sotto la chiesa di Santa
Maria la Catena e nell’instante gli soldati la rovinarono, predando non solo il
mobile, ma pure togliendo li legna del tetto e porte e fenestre (conforme al solito),
maggiormente che il padrone era retirato al Capo con altri per lo spavento. Il
quale, concorso per ricuperar il mobile, nemeno poteva entrare nella sudetta
sua casa per la moltitudine di tanti soldati che con ogni disinvoltura si
prendevano tutta la robba senza nemeno puotersi parlare. E questo pure seguì in
altre parti della città nella parte inferiore, per aversi disparato più e più
cannoni con quantità di bombe dalli Spagnuoli con danno notabile.
Pure una palla
di cannone disparata contro la città entrò in una casa di Cesare Irato, nel
quartiero del Borgo, dal muro che dava allo Scilocco, la quale era piena di
soldati tedeschi affollati per esser terrana ed angusta. E nel tempo che alcuni
mangiavano, altri suonavano, altri travagliavano ed altri infermi sul suolo. E
con tutto ciò la palla data nel sudetto muro, e quello fracassato, entrò dentro
e, contro l’ordine naturale, s’inalzò in aria e doppo cadette in un
picciolissimo vacuo, nel quale non si retrovava alcun soldato e cossì s’ammirò
la stravaganza.
Gran parte della cavalleria trasferita in Calabria
per penuria di mangimi per i cavalli Tutta la cavalleria che si retrovava in
questa città, e nel Capo e nel Purracchito sotto le falde del Regio Castello,
per mancanza d’erba ed orgi e di pascolo, avendosi per molti giorni sostentata
con puoca quantità di formenti, comprandosi a prezzo esorbitante, fu
necessario, per non perire tutta di fame, darsi ordine dalli signori generali
che fosse imbarcata sopra molte tartane a ciò deputate per Calabria. Il che
seguì verso il tardi, bensì molti cavalli periroro e quei imbarcati erano di
puoco servizio. Perloché restarono alcuni puochi dell’officiali e di personaggi
particolari.
Giungono viveri dalla Calabria e da Napoli Vennero pure da
Calabria e da Napoli, sopra molte e diverse imbarcazioni, molti viveri, quali
sempre si comprarono e dalli soldati e cittadini a prezzi molto esorbitanti.
Almeno non avesse seguito la frode e nel peso e nella misura.
Armistizio tra le truppe spagnole e quelle
austro-pienontesi sospende per due ore le ostilità In questo
giorno ad ore 21 seguì l’armestizio, avendo andato in mezzo le trinciere - da
parte del signor generale Zumiunghen - il signor comandante Missegla et il
colonnello Refuistargusch del Regimento di Paruith, tedesco, e - da parte del
signor comandante spagnuolo - altri due suoi officiali. E discorso da mezz’ora,
si divisero. Almeno in città s’ebbe un puoco di tranquillità per breve spatio
d’ore due, persistendo detto armistizio. Bensì questo complito, di subbito si
principiò il disparo delli cannoni, con gettarsi quantità di bombe, pure con
pietre d’ambe le parti. Ed inoltre tutta la notte si dispararo nelle trinciere
più migliara di schioppi.
30 gennaio 1719
Tre disertori attestano l’abbondanza di viveri nel
campo spagnolo
30 gennaro. Desertarono su l’alba tre soldati di fanteria dal campo spagnolo,
due francesi e l’altro di Burgos nella Spagna. Furono seguiti con molte
focillate, ma vennero illesi. Riferirono solamente che nel campo si retrovava
copiosa abbondanza di viveri con alcuna scarsezza di denari. Ed avuta la
commodità s’imbarcarono per Napoli.
Le artiglierie sempre in azione con morti e feriti Si stiede in
questo giorno nella città con grandissimo timore, stante che il fuoco non cessò
dall’alba sin a sera, avendosi disparato continuamente tutti li cannoni d’ambe
le parti col gettito di più bombe e granati reali. Bensì non fu offesa persona
alcuna, solamente seguì la demolizione di molte case. E la notte nelle
trinciere si disparavano molti schioppi di continuo e li mortari con pietre non
cessarono. E sempre alcuni delli soldati restavano o morti o malamente feriti.
Si trasferiscono i mortai, sia per bombe che per
pietre, dalla cittadella fortificata ad altre postazioni più basse per meglio attaccare
gli Spagnoli
Nel giorno antecedente, come in questo, si condussero tutti li mortari di bombe
e di pietre che si retrovavano nella cittadella ad altre parti della città,
fori di essa, nelle fortificazioni fatte nella Porta di Messina, nel forte di
Ferrandina ed in altre per più danneggiare al nemico spagnuolo.
31 gennaio 1719
Giornata in cui il fuoco delle artiglierie sembrò
accanirsi più del solito 31 gennaro. Pretendevano gli Spagnuoli prendere la
città col disparo delli cannoni e gettito di bombe e granati reali, sperando
intimorire e spaventare gli soldati che erano in questa città, quando che
questi, oltre esser gente molto bellicosa e sperimentata nell’arme, se vedevano
le palle di cannoni e le bombe che erano gettate, ancor che fossero uccisi o li
loro compagni o paesani, si mettevano a ridere con dar mille rimproveri ed
ingiurie alli Spagnuoli, stimandoli da poltroni e codardi per non aver animo di
assaltar la città. Onde in questo giorno eccedette al maggior segno il fuoco
dal campo spagnuolo, perloché gli afflitti cittadini si retrovavano oltre il
timore di perder la vita, storditi ed insensati, non sapendo che fare, né che
dire, non avendo animo nemeno di porger le loro fervorose preghiere al Sommo
Dio, per placar il suo giusto furore ed aver pietà di essi.
Bomba nel piazzale del Duomo antico ed in una casa
del Borgo, sopra il convento dei Domenicani Fra l’altre bombe, una pervenne
sin al piano del Duomo, nell’ombellico della Cittadella, ma per il molto scorso
crepò nell’aria a vista di quantità di squadre militari. E pure li pezzi rotti
di detta bomba non offesero ad alcuno, con tutto che la maggior parte di essi
avesse cascata innanzi gli piedi delli soldati, li quali intrepidi se ne
ridevano. Altra diede in una casa terrana del fu mastro Giovanni Passalacqua,
posta nel Borgo sopra il convento di San Domenico: ed entrata nel tetto diede
dentro una botte piena di vino d’un capitano tudesco, qual albergava in detta casa.
E benché in essa s’avesse retrovato tutta la fameglia del capitano al numero di
otto persone, tutte restarono senz’alcun danno, ma la casa tutta si fracassò e
tutto il mobile restò abbruggiato.
Alcuni ufficiali austriaci deceduti per febbri
«putride e maligne». Morte (il Barca tace, ma pare siano stati uccisi) di tre
cappellani che si abbandonavano all’alcolismo anche quando avrebbero dovuto
assistere un generale in fin di vita Per non tediarsi il lettore col
racconto funesto continuamente, ho trascurato per più giorni non far motivo
della mortalità, di più e più nonché soldati, officiali - così tedeschi come
italiani di Savoja e Piemonte - e delli cittadini. Al presente stimo
menzionarsi la morte d’alcuni officiali tudeschi, con febri putride e maligne,
seguita in questo mese, poiché se si volessero descrivere tutti sarebbe numero
indicibile. Ogni regimento delli tudeschi condusse il suo cappellano, oltreché
in alcuno di quelli se ne retrovassero due di questi. Tra gli altri, vi erano
tre cappellani, due domenicani e l’altro francescano, tutti tedeschi e nel
fervore della gioventù, dottissimi e nella speculativa e nella scolastica, e
molto fra loro parziali per esser d’una medema nazione. Allo spesso cibandosi
di conversazione, per esser molto proclivi al bere del vino eccedevano
nell’assaggiarlo, con disordine. Perloché, correndo l’infermità di un generale,
gli amici li persuadevano che s’astenessero un puoco, ma, non volendo
consentire agli consegli che se li distribuivano, tutti e tre fra pochi giorni
morirono. Uno il giorno antecedente e l’altro delli Domenicani in questo; ed il
terzo francescano sotto il 24 febraro. Il che recò stupore nonché agli
nazionali, pure alli cittadini loro conoscenti. Il francescano era del
Regimento di [segue lacuna nella copia,
ndr] e si seppellì con molte essequie nella chiesa del Convento di San
Domenico, con aversi fatto fare una lapide. E li domenicani nella fossa delli
padri d’esso convento, con pompa proportionata.
Decesso di un capitano delle truppe austriache Inoltre seguì
la morte di più e più officiali, cossì tudeschi come italiani. Fra gli altri,
morì un capitano del reggimento del signor generale Ottobair e suo parente. Con
aversi fatto l’essequie con molta pompa, associato il cadavere dal medemo
signor generale con altri officiali nella chiesa di Santa Maria la Catena, ove
si sepellì.
Modalità seguite dal Barca nella redazione del
presente manoscritto
Per aversi fatto la presente relazione dell’Assedio fatto dagli nemici
spagnuoli dal principio dell’imbrocco senza distinzione di giorno in giorno,
benché dopo vi sia il diario da 21 gennaro 1719 con qualche specialità. Ho
stimato che si descrivessero tutti gli uccisi disgraziatamente e feriti paesani
per causa di cannonate e bombe seguite innanzi detto giorno de 21 gennaro. Come
pure tutti gli devastamenti e rovine successe nelle chiese e conventi e case
principali innanzi il sudetto giorno 21 gennaro, proseguendo poscia coll’ordine
giornale l’accidenti sortiti.
Decessi e ferimenti di civili milazzesi colpiti
dalle artiglierie descritti in ordine cronologico sino al 21 gennaio 1719.
Muore anche il conte di Ligneville A 16 ottobre 1718. Con una palla di
cannone disparata dal forte della Tonnara di Melazzo fu uccisa Fortunata
Raimondo, figlia di maestro Vincenzo, barbiero, per aver dato detta palla nella
casa di sua abitazione nel quartiero del Carmine e nella stanza ove essa
commorava, senz’aver avuto spazio alcuno da che fu colpita.
Il di sudetto.
Con altra palla di cannone disparata dal sudetto forte della Tonnara pure fu
uccisa Angela Nigrello, moglie di Pietro, ritrovandosi in un balcone della
posata [locanda, ndr] del signor Don
Giovanni Cirino, posta nella contrata delle Posate, propria abitazione delli
sudetti come posatieri, avendo morto nell’istante che fu colpita nella coscia.
A 19 ottobre.
Con altra palla disparata dal cannone nel forte di San Giovanni restò ferito
gravemente Cosimo Palumbo nello braccio destro, mentre si retrovava nella senia
di Antonino Guerrera, posta vicino la Porta di Messina, per aver colpito detta
palla in una siepe fatta di terra e macito e pietre. E per la veemenza un pezzo
di detta siepe colpì al detto di Columbo con averli rotto il braccio. E benché
s’avesse medicato per lo spazio di mesi cinque, corse pericolo di serrarsi [segare, amputare, ndr] lo braccio per
non aversi dato cura dal principio, ma doppo fu ferito con aver restato un
puoco offeso per cagione dell’osso rotto che non si puoté dell’intutto sodare.
A 19 novembre.
Nicolò Nastasi e Pietro Valvera, poveri senari, ritrovandosi sotto il bastione
di Santa Maria, qual esiste nella cittadella, per aver disceso uniti da quella,
furono entrambi uccisi d’una sola palla di cannone disparata dal forte delli
Spagnuoli [“Spagnoli” corretto nel
manoscritto con “Tonnara”, dunque sembrerebbe “forte della Tonnara”, anche se il forte in questione in verità
dovrebbe essere l’altro di contrada Albero, ndr] nel luogo di Donna Bartola
D’Amico nella contrata dell’Albero, con aver restato entrambi due tutti
fracassati e nel petto e nelle coste d’innanzi. Uno de’ quali puoté confessarsi
con segni, ma l’altro spirò in esser colpito. E di subito furono sepolti per
carità nella chiesa di Santa Maria la Catena, senz’essere stati portati nelle
loro case.
A di [segue lacuna nella copia, ndr] Novembre.
Con un palla che venne disparata dal forte delli detti nemici spagnuoli nel
Purracchito fu ucciso [segue lacuna nella
copia, ndr] Russo, figlio di maestro Giobattista, il quale uscì dalla città
e si conferì in detto Purracchito, vicino il convento di San Papino, per
coglier fongi e mori. Subbito con aversi nell’istante sepellito nella chiesa di
San Giacomo.
A [segue lacuna nella copia, ndr] fu ucciso
[segue lacuna nella copia, ndr]
Pulvirenti, figlio di maestro Saverio, il quale travagliava col padre nelle
trinciere sotto il Quartiero delli Spagnuoli, con una palla di cannone
disparata dal forte di San Giovanni. E di subbito fu sepellito nella chiesa di
San Giacomo
A di [segue lacuna nella copia, ndr] con una
palla di cannone disparata dal forte della Tonnara fu uccisa Beatrice Murina,
moglie di [segue lacuna nella copia,
ndr] e figlia di Francesco D’Amico alias Maccarruni,
ritrovandosi nella sua propria casa nel quartiero di Giesù e Maria la Vecchia.
A 22 novembre. Il
signor Tenente Coronello Conte di Lignovilla del regimento di focilieri di
Piemonte e figlio del Governatore di Turino [trattasi del conte di Ligneville, Carlo Isnardi de Castello, figlio terzogenito
del Governatore di Torino Angelo Carlo Maurizio Isnardi de Castello, marchese di
Caraglio, quest’ultimo morto nel 1723,
ndr], ritrovandosi nella Marina, fu disparata una palla di cannone dal forte
della Tonnara, quale diede in un muro d’una casa in detta Marina. E scagliata
una pietra dal detto muro, con essa restò colpito in una gamba detto signor
conte, macellandosi le giunture di detta gamba con tutta la coscia. Perloché
condotto in casa ivi vicina, dove albergava, si governò sino a 14 gennaro del
1719 con esquisita diligenza e quantità di medicamenti. Alla fine morì da vero
cristiano, con molta pacienza, avendo lasciato tutto il mobile, qual era
copioso, alla famiglia. E fu sepelito con molto fausto e con l’essequie
momorabile in San Domenico, con aversi affisso nel suolo in mezzo la chiesa una
lapide con le sue arme. E fu pianto dalli suoi nazionali e quasi da tutti li
cittadini, per essere stato un cavaliero di molta bontà e giovanetto leggiadro.
A 4 dicembre.
Nella notte fu disparata una palla di cannone del forte nel Purracchito, entrò
nella chiesa di Giesù e Maria la Nuova e fu fracassata dell’intutto la Sacra
Imagine di marmo di Nostra Signora Maria.
Danni alle chiese e conventi cittadini A 5 dicembre.
Nella medema venerabile chiesa di Giusù e Maria la Nuova, e nelle stanze de’
Padri di San Filippo Nerio che in essa commorano, hanno successo molti e molti
danni per causa di palle di cannoni, bombe e granati reali disparate dalli
forti e trinciere delli Spagnuoli. Perloché detti Padri alla sfuggita celebravano
le messe non commorando di continuo nelle loro stanze. E benché fossero tutte
le mura perforate di palle di cannoni ed in molte parte rotto e precipitato il
tetto, e sconquassati parieti e fenestre e porte, nondimeno in questo giorno
una bomba entrò in chiesa e, crepando in essa, si disfece in tutto la
Santissima Imagine dell’Ecce Homo con tutte l’invetriate che si retrovavano
nella cappella, ove con molta devozione la detta Venerabile Imagine s’adorava
da tutto il popolo. Ed inoltre altri maggiori danni colla morte di alcuni Padri
retirati, come in appresso si esplicherà.
I Padri di San Francesco di Paola fuggono al Capo Nel venerabile
convento di San Francesco di Paola hanno seguito molte cannonate e bombe, con
l’uccisione di più soldati tedeschi che residevano in esso da più tempo
aqquartierati. E di molti altri feriti, con aversi disfatto due dormitorij per
le bombe in detto convento crepate, oltreché tutte le mura con li tetti furono
perforati da palle di cannoni. Perloché li Padri di detto convento, scielto il
meglior superlettile che si retrovava, tutti se ne andarono al Capo,
retirandosi nella chiesa di Sant’Antonio di Padua. Ed alle volte discendeva un
padre nella città per celebrar la santa messa in detto convento, bensì nella
Sagrestia per il molto timore. Ed un fratello solamente, con l’occasione di far
provisione di viveri, ogni giorno scendeva in città. E cossì alla sfuggita
andava in convento per osservar maggiori danni che di continuo proseguivano. Ed
oltre di ciò si racconteranno altri infortunij.
Distrutta la chiesa di San Papino. I Padri trovano
riparo a S. Antonio da Padova, dove s’erano stabiliti i Padri di S. Francesco
di Paola Nel convento di San Papino de’ Padri Reformati
di San Francesco d’Assisi, fori le mura della città, avendosi fabricato
collaterale al muro della chiesa un forte, con aversi posto molti cannoni per
defensione della città e per offendere al nemico spagnuolo specialmente nelle
sue trinciere, seguirono nel detto convento gravissimi danni per causa di molte
palle di cannoni e bombe disparate dalli forti delli Spagnuoli. Perloché tutta
la chiesa fu dirupata dal pedamento [fondazioni,
ndr], con aver rimasto solamente minima parte in piedi dalla parte del choro.
Inoltre si precipitò un dormitorio intiero di detto convento dalla parte di
mare verso Ponente, restando l’altri fracassati così nelle mura, come nelli
tetti.
Distrutto il grande quadro posto nell’altare
maggiore della stessa chiesa di S. Papino Onde gli poveri Padri lasciarono
in abbandono detto convento per non puotersi realmente in esso più commorare,
retirandosi nel Capo nella medema chiesa ed ospizio di Sant’Antonio di Padua,
unitamente con li Padri di San Francesco di Paola. Con tutto che albergassero
con molto travaglio e scomodamente, con aver avuto speciale cura di trasportare
tutti gli superlettili megliori nella loro abitazione al Capo, ma non avendosi
tolto il quadro grande di molto valore e maestria e di fervente devozione di
tutti gli Popoli, per causa della sua grandezza. [Questo quadro, ndr], che si retrovava nell’altare maggiore, fu
tutto redotto in pezzi, unitamente con la cornice, restando tutto il convento
in puotere delli soldati tedeschi. Ed alle volte, molto timoroso descendeva dal
Capo alcun padre e nel refettorio celebrava il Sacrificio della Santa Messa: e
per osservare se le reliquie remaste d’alcune stanze terrane erano ancor in
piedi. Ed oltre questi, gravissimi danni maggiori in appresso si viddero, quali
pure in appresso si descriveranno.
Il convento di San Domenico preso di mira perché -
come riferirono i disertori agli Spagnoli - ospitava il generale Zumjungen Nel convento di
San Domenico pure seguirono molti danni per aversi disparato in esso molte palle
di cannone e con bombe, cossì nelle mura, come sopra li tetti. Una bomba dentro
la Sagrestia, che non crepò. Altra nel dormitorio innanzi la stanza ove
commorava il signor generale Zumjunghen, comandante, che pure non crepò. Altra
sopra l’astraco del convento, che - fatto un fosso - si ruppe doppo in aria.
Palle di cannoni in quantità, cercandosi dalli Spagnuoli a viva forza colpirlo,
sapendo che resideva detto signor generale con il corteggio giornalmente di
tutti gli officiali ed altri, tenendosi corte alla grande. Si può sinceramente
affermare che detto convento, per la speciale providenza divina, fu preservato
e non fu danneggiato come gli altri, quando che esso convento era il bersaglio
delle palle e bombe e granati reali delli Spagnuoli, tirati con ogni attenzione
dalli medemi avuta la relazione delli desertori e delli mal contenti che si
retrovava il detto signor generale comandante. E pure l’altri conventi tutti
desolati, benché non s’avesse riguardo come a questo, ma solo per esservi nelli
sudetti li forti vicini. Onde si crede che l’intercessione della Madre di Dio
del Sacratissimo Rosario e delli santi Domenico e Vincenzo molto avesse
prevalutato per defensione del suo convento.
Il convento dei Carmelitani il più colpito dalle
cannonate nemiche
Nel venerabile convento di Santa Maria del Carmine non furono minori gli danni,
anzi eccessero quei dell’altri conventi, poiché, oltre l’innumerabile quantità
di palle di cannoni e di bombe disparate dentro d’esso convento, specialmente
doppo eretto il forte con cannoni vicino detto convento e non molto lungi dalli
forti delli Spagnuoli nelle contrade della Tonnara e dell’Albero. Una bomba
crepò nella chiesa vicino la cappella di Santa Teresa con aversi dell’intutto
fracassata.
Altra si
profondò nel dormitorio innanzi il piano. Altra in camera del Padre Baccelliero
Arena, con aver remasto cinque soldati tudeschi uccisi e molt’altri feriti.
Altra nello scoverto ove si vende il vino e susseguentemente altra che ruppe e
redusse in pezzi la campana maggiore nel campanile. Perloché tutto detto
convento restò rotto e fracassato e tutto il muro della chiesa dalla parte di
Scilocco verso il campo spagnuolo, sino dalli pedamenti, si rovinò. Onde li
Padri di esso convento lo lasciarono in abbandono alle truppe tedesche che in
esso avevano il loro quartiero ed alcune volte celebravano la santa messa in
una angusta camera vicino la porta maggiore del convento. Anzi, essendo
quartiero di soldati tedeschi, dalli loro officiali conosciuto l’evidente
pericolo di non perder tutti la vita in ogni momento, giaché giornalmente molti
restavano uccisi, si contentarono meglio retirarsi in altro luogo, ancorché
scoverto, che commorava con meglior commodità nel convento sudetto,
osservandosi essere lo scopo e bersaglio di palle e bombe. E finalmente
seguirono altri danni - particolarmente doppo fatto il fortino vicino detto
convento - che tutti in appresso si descriveranno.
Altri decessi e ferimenti di civili milazzesi
colpiti dalle artiglierie descritti in ordine cronologico. Pietro Guerrera cura
una donna colpita da una bomba A 6 decembre [1718, ndr]. Una bomba disparata
dal forte del luogo di Cirino diede in casa di maestro Pietro Buccafusca nel
quartiero di Santa Maria la Catena, con aversi essa casa quasi tutta demolita.
Restando Leonora, la moglie, malamente ferita nella faccia, tagliate le labbra,
ed un soldato tudesco, focilliero, qual
si retrovava innanzi la porta, nell’instante ucciso. Ed un altro soldato
della medema nazione gravemente ferito in un braccio con averli caduti tutti li
denti, qual pure doppo alcuni giorni morì con gravissimi dolori. E la detta di
Buccafusca, tramortita per più ore, doppo, ricevuti gli Sacramenti,
privatamente s’attese alla sua cura e, trascorsi molti mesi, dell’intutto si
guarì senza averli rimasto alcun defetto, tolte le cicatrici nelle labra con
l’assistenza di Pietro Guerrera, prattichissimo in tal mestiero per il molto
studio da esso fatto e colla composizione d’un balsamo sperimentato, dal medemo
composto.
Pietro Napoli, cannoniere delle truppe piemontesi,
colpito a morte da una palla di cannone sparata dal forte della Tonnara di
Milazzo e giunta sino al fortino dei Castriciani, ove centrò il malcapitato
«con averli fatto uscire li bodelli» A 6 decembre. Pietro di Napoli di questa
città, cannoniero da più tempo per l’arme di Savoia, uscito di guardia dal
bastione di Santa Maria nella Cittadella, per divertimento si conferì sopra il
monte nominato di Castro, luogo in mezzo la città ed assai eminente, per
riguardare tutti gli posti delli Spagnuoli, essendo tutti discoperti. Ove giornalmente
per curiosità si conferivano molti e molti cittadini, sembrandoli sito
proporzionato per restar senza danno dalle palle che nella città venivano dalli
bastioni delli Spagnuoli gettate. E doppo esso di Napoli aver riguardato il
disparo delli cannoni nemici, per breve spazio, ritrovandosi dietro un
massiccio di pietre ben custodito, fu disparato un cannone del forte della
Tonnara e la palla data pochi passi lontano dal luogo ove resideva: e
rintuzzata in altri sassi, venne a ferire al detto di Napoli - con tutto che
stesse nascosto - nel ventre, con averli fatto uscire li bodelli. E portato in
casa conseguì gli Sacramenti e, doppo ore cinque, parlando rese l’anima con
ogni tranquillità, incoraggiando e persuadendo gli astanti e congionti a non
compassionarsi col dolore, coll’attestazione d’esser così la disposizione
divina, per certo che fu speciale segno della sua predestinazione per aver
morto con segni evidenti di vera contrizione. E la mattina sequente fu
sepellito coll’associamento delli fratelli del nome di Giusù, essendo uno di
essi, nel suo Oratorio del Convento di San Domenico.
Il Barca annota altri due decessi per palla di
cannone sparata dal forte della Tonnara. Rimasta illesa la moglie dello stesso
Barca nel piano di San Domenico al Borgo A 11 decembre. Si retrovava Domenico
Corrao, povero travagliatore, qual per lucrarsi il vitto vendeva vino innanzi
la porta della casa di maestro Salvo di Liberto, a dirimpetto del convento di
San Domenico. Fu con una palla di cannone disparata dal fortino della Tonnara
colpito nella testa, con aversi redotto in pezzi. Restando altri che seco erano
uniti ed in piedi senza danno. E doppo la medema palla corse per tutto il piano
di detto convento e diede con grandissimo furore in una cantonera di pietra
nella casa del signor Domenico Barca, nel termine di detto piano. E benché
s’avesse per accidente ritrovato la signora moglie del sudetto di Barca in
mezzo la porta di detta casa un passo, anzi meno, distante da detta cantonera,
che discorrea con una sua serva sopra l’occorso al detto di Corrao, restarno
queste illese. Anzi, la medema palla retornata con furia indietro ferì
malamente un soldato tedesco nella gamba, qual era in detto piano. E per detta
ferita pure tra pochi giorni morì. Ed il detto di Corrao di subito fu sepolto
nella chiesa di Santa Maria la Catena.
Continua l’annotazione di civili morti e feriti A 21 decembre
fu disparata una bomba dal forte nel Purracchito. Diede nella casa di maestro
Antonino D’Amico, posta nel Borgo a dirimpetto della chiesa di Santa Caterina,
nella quale casa si ritrovava Giovanna, moglie del sudetto D’Amico, con molti
figli e col padre della medema. E non solamente si precipiò tutto il tetto,
pure il solaro fatto di gisso con travi, rompendosi inoltre la porta di pietre
e legname d’innanzi. E solo restò ferita la sudetta Giovanna nel piede ed
offesa nelli reni, che fra pochi giorni si guarì. E si attribuì a miracolo non
avendo successo danno notabile, poiché detto solaro si precipitò sin nel suolo
in pezzi, alcuni di più d’un cantaro.