martedì 24 ottobre 2017



 
Capitolo VI
(trascrizione a cura di Giovanni Lo Presti, Salvatore Salmeri e Massimo Tricamo)

Le bombe e le palle di cannone lanciate dal nemico continuano a distruggere le abitazioni del Borgo Ed una bomba disparata dalli Spagnuoli [il 21 gennaio 1719, ndr] diede in casa del fu Antonino Micali, sotto il convento di San Francesco di Paola, abitando in essa la signora Donna Vittoria Villano col figlio signor Don Antonio. Ricoveratosi inoltre per timore di dette bombe, con avere slocato dalla loro propria qual era nel quartiero di San Giacomo, il signor Don Antonino Marullo de Alarcon e la signora Donna Clara, sua moglie, con molti loro nepoti, oltre la servitù al numero di diece. E tutti radunati in una stanza. E benché avesse disfatta e dirupata quasi tutta la casa, le sudette persone restarono illese, non perciò senza spavento, rassembrando a chi concorse alle voci e grida tutte estatiche e fuor di sentimenti. E fu necessario togliersi l’impedimento e di pietre e legni ed altri materiali per uscire dalla stanza ove si retrovavano, poiché la bomba crepò in altra camera collaterale con quella nella quale commoravano.

Di più vi furono disparate due palle di cannoni che colpirono una nella casa del fu mastro Stefano Cicirello e l’altra in quella di padron Gaetano Oliva, nel quartiero di San Domenico. E benché vi fossero state molte persone in dette case, non patirono lesione alcuna, con aversi bensì disfatto le case sudette.





 
 
 
 
 

 
 


Il Diario dell'Assedio di Milazzo apparso a puntate in 
Avisi Italiani ordinari e straordinarii dell'anno 1719,
Vienna, appresso Gio. Van Ghelen



Giungono da Tropea dodici navigli carichi di viveri, ma la carestia non cessa. Diserzione di tre soldati spagnoli: riferiscono che nel campo si trovano denaro e viveri a sufficienza, ascendendo il numero dei militari, tra fanteria e cavalleria, a 18.000 unità. L’istessa notte [del 21 gennaio 1719, ndr] vennero dodeci felughe da Tropea cariche di vittovaglie, farine, carni salate ed altri viveri. Non perciò cessò la carestia. In detto giorno desertarono dal campo spagnuolo tre soldati di fanteria, retirandosi con molto pericolo in città per essere stati scoperti nella fuga. E li furono disparate molte scopettate, bensì remasero inlesi. Asserirono questi esservi nel campo dovizia di denari e di vittovaglie, con provisioni di guerra a sufficienza; e ritrovarsi da 18 mila soldati tra fanteria e cavalleria.

 

22 gennaio 1719

Continuano i bombardamenti in città causando morti e feriti 22 gennaro. La carestia persisteva in città molto atroce. E benché avessero venuto il giorno antecedente alcuni viveri da Tropea (come si disse) non perciò li poveri abitatori si puoterono sfamare. Le truppe nondimeno principiarono ad aver la sua solita provisione del pane di monizione di rotolo uno al sottile il giorno, con tutto che pria era di onze trentasei per li tedeschi, dalli quali si tolera colla promissione che s’aumenterà il mancamento o con altre provisioni di companatico, o in denari. Continuavano gagliardamente le batterie di cannoni e di bombe con mortari di pietre d’una parte e l’altra: e nella notte morirono molti soldati, ed altri restarono feriti, delli quali alcuni con poca speranza di vita per le pietre, al numero più di venti, come per la relazione veridica s’osservò.

Una bomba (tra l’altre) disparata dalli Spagnuoli crepò dentro la casa di padron Francesco Micali, nel quartiero di Giesù e Maria la Vecchia, con aver rimasto la casa dell’intutto fracassata e dirupata, per aver entrato dentro una gisterna nella casa sudetta. E la moglie del Micali precipitò in detta gisterna e non morì, nemeno restò ferita, bensì tutta rotta ed addolorata e patì molto per recuperare la salute.

 

La carestia costringe alla vendita di carne avariata In detto giorno, con tutto il soccorso venuto da Calabria per provisionarsi la città di viveri, atteso la penuria del comestibile, si vendette la carne di bue vecchio e fetido - che in altri tempi s’avrebbe venduto al più a grana quattro il rotolo opure data a credito col detto prezzo alle povere feminicciole per filar lana o lino, o meglio s’avrebbe gettato a cani - a tarì tre il rotolo nella beccaria e macello, per conto di N.N. affittato, ed alle volte nella sua propria abitazione, con tutto che fosse stata terrana con una sola stanza, con un beccaio che divideva la carne in sua presenza. Per certo che non avrebbe questo potuto resistere in piedi per la molta assistenza somministrata, se non fosse stato giovanetto e gagliardo. Si loda dunque la sua diligenza per avere processo per lucrarsi cossì nella carne, come in altre comestibili venduti.

 

Ribasso del prezzo dei viveri L’ova di galline che avevano sormontato al prezzo di grana otto, diece ed alle volte dodeci, si principiarono a vendere a grana 4 - 5 [e] 6 per averne venuto da Calabria in molta quantità. Le galline, sormontate al prezzo di tarì 15 l’una, in questo giorno si vendettero a tarì cinque - o meno pochi grana - l’una. Le farine, che giorni innanzi s’avevano vendute a tarì trentanove in quaranta il cantaro, venute da Calabria, nel principio montarono al prezzo di tarì due e grana diece il rotolo al sottile senza crivellate, vendendosi dall’istessi habitatori, quando che si vendevano così in grosso, come a minuto (come s’ha espressato), et in detto giorno si venderono almeno a tarì uno il rotolo.

 

Morte di Girolamo Massimiliano Zumjungen, ufficiale tedesco, nipote del generale Zumjungen, sepolto in prossimità della chiesa dei Cappuccini, ove venne eretto un monumento che ancor oggi ne perpetua il ricordo. Lapidi nelle pubbliche strade in memoria di altri militari “eretici” deceduti a Milazzo Morì di febre un nepote del signor generale Giovanni Gerolamo Zumjunghen, comandante, che si retrovava officiale nelle truppe tedesche. Si sepellì l’appresso giorno, li 23 del detto gennaro, vicino il convento de’ PP. Cappuccini, per esser eretico luterano come il zio. Havendo seguito la funzione con molta pompa, intervenendo molti signori officiali e soldati tedeschi sin al sepolcro. Anzi, molt’altri officiali della stessa nazione, che morirono in questa città, per esser pure eretici di più sette si seppellirono nelle strade remote. Ed alcuni si fecero fare doppo la morte, per la commissione lasciata, molte lapide per conservarsi la memoria nelle publiche vie, come se ne vede una vicina la Marina, vicino un magazeno del signor Don Giovanni Cirino, dalla parte di sopra.

 

Diffusione delle epidemie tra i soldati e anche tra i cittadini, con centinaia di decessi al giorno. Penuria di strutture in cui curare gli infermi: militari austriaci assistiti nelle singole abitazioni e quelli piemontesi nell’unico ospedale esistente, quello allestito nel Duomo antico entro la cittadella fortificata, ove tuttavia il sovraffollamento e la mancanza d’igiene causavano ulteriori decessi Infermitadi così delli soldati, come delli cittadini, s’hanno avanzato in eccesso, correndo molti pestilenziali e maligne, numerandosi quasi centinaia il giorno di morti. Poiché di quelli che avendo cascato infermi pochi s’hanno guarito. E s’ha osservato, inoltre, che in quella casa che uno s’infermava difficilmente gli altri restavano esenti a non patir l’istesso morbo.

Di più gli soldati tedeschi, per non aver ospedale ben regolato e determinato, ma solo alcune casuncule, nelle quali retrovandosi [si ritrovavano, ndr] affollati gli infermi, gettati sopra il nudo suolo e nel terreno, con una pietra per capezzale, senza gli medicamenti opportuni e necessarij. Retrovandosi solamente l’ospedale delli Savoiardi e Piemontesi, sotto la cura del signor comandante Missegla, nel Duomo nella Cittadella con alcuna regola e metodo (benché non opportuna), con l’assistenza del [medico, ndr] fisico e del chirurgo e sussequentemente colla guida e vigilanza [militare, ndr] del signor marchese d’Andorno generale (come esplicai).

E tutto ciò - per la quantità degli infermi e per la puoca attenzione e cura, e per non purificarsi il vaso del Duomo cogli profumi per togliersi il fetore, tanto che recando [provocava, ndr] nausea a tutti quei che per necessità dovevano entrare in detto ospedale - il fisico (qual era cittadino) più e più volte si scusò [rifiutò, ndr] seguire la cura dell’infermi, attestando che in ogni modo s’avrebbe infettata l’aria. E senz’alcun dubio detti infermi avrebbero remasto morti e per il morbo, e per la corruzione che si generava in detto ospedale, e per l’infettione cagionata nell’alito d’un infermo con l’altro, stante la strettezza del luogo, ritrovandosi il più delle volte da 400 in 500 ammalati.
 
 

Pianta sulla Battaglia di Milazzo del 15 ottobre 1718 pubblicata nell'opera intitolata
Das offt gedrückte und nun herrlich erquickte Königreich Sicilien etc., Amburgo e Lipsia 1720.
 

 

 

Molti milazzesi s’improvvisano commercianti, acquistando viveri che poi rivendevano ai propri concittadini a prezzi esorbitanti: una speculazione condannata dall’autore Continuava pure, come pria, da più mesi - come in avvenire seguì l’istesso persistendo in città l’Assedio strettissimo delli Spagnuoli - la poca fedeltà nell’abitatori, anche tra congionti, specialmente nella plebe. Poiché molti di questi e quasi tutti si diedero ad esercitar il mistiero di vendere e comprare come potersi; li più vili viveri come tonnine, legumi, ogli, carni salate ed altri, nelle publiche piazze della città, a carissimo prezzo ed a suo gusto, assassinando non solamente gli soldati, pure li compatrioti. Non pagando [inoltre, ndr] alcuno dritto, con ingannare e nel peso e nella misura senz’alcun riguardo, né della loro coscienza, né della convenienza ed equità dovuta. Anzi se questo fosse stato esercitato solamente dalli plebei non avrebbe recato speciale ammirazione, ma molti e molti che si reputavano onorati, come arteggiani, da principio fecero l’istesso mestiero nelle loro case, ma poscia, dedicati al guadagno e lucro esorbitante, non attribuirono a vituperio esercitarlo nelle strade più frequentate, per avere smaldimento delle loro merci comestibili. E finalmente alcuni, nonché cittadini, de’ principali attesero a far fare compra di qualunque sorte di viveri, ancorché grossi e di vile carato, dalli loro familiari, per venderli doppo a prezzi così esorbitanti che sembra strano a chi l’intende.

Un foglio di carta bianca due grana, il sale grosso a tarì 50 il cantaro, et a minuto, il sottile a più caro prezzo. Il zucchero della più bassa qualità a tarì sei il rotolo, il pepe a tarì dodeci il rotolo, la cannella ordinaria a onze 6 il rotolo. E così nell’altri merci che per brevità non si descrivono. Infine si vendette dalli Calabresi carne salata in salmoia bensì o di cavallo o d’asino a grana trenta e ventiquattro il rotolo, col pretesto esser bovina. E pure il tutto avrebbe stato soffribile, se detti viveri s’avessero venduto dalli forastieri. Almeno da questi si poteva asserire che per condurli pericolavano la vita o per alcun accidente di tempo contrario, o per venti validi, o per esser soggetti ad essere predati dalli corsari nemici, come spesse volte seguì, col naufragio d’alcune imbarcazioni, sommersi gli conduttori, e soppresa dell’altre da detti corsari.

Ma che si comprassero detti viveri ed altri merci di baratto dall’abitatori e doppo dalli medemi si vendessero a prezzi molto esorbitanti col guadagno più del quatuplo (alle volte in poche ore, nonché giorni) alli loro compatrioti con molta sfacciatagine - ingannando allo spesso e nel peso, e nella misura - sono azzioni che hanno dell’incredibile. E pure in questa guerra apertamente si pratticò senza scrupolo alcuno.

 

Comportamento poco leale di un sacerdote nei confronti di un suo creditore, al quale fu promesso del vino. Seguì pure un caso. D’una parte s’ammira [che] l’eccesso nel pratticare si fece pure da persone ecclesiastiche nella presente guerra (puotendosi far reflessione delli maggiori adoprati dalli secolari) e dell’altra per aver trattenimento giolivo il lettore nel leggere tante e tante turbolenze successe in questa città coll’opre ingiustamente fatte d’alcuni per la loro ingordigia.

Un cittadino onorato creditore d’un buon sacerdote, oltre gli oblighi da questo all’altro dovuti, per la scarsezza che versava di tutto specialmente di vino, con ogni confidenza li richiese una quartara di vino, gia[c]ché ne teneva il sacerdote molta quantità nel magazeno per esser molto commodo e vendendolo in grosso. Non avendo scusa il medemo di far la negativa nella faccia del cittadino [Non avendo il medesimo sacerdote il coraggio di rifiutarsi di presenza, ndr], anzi colla promissione di consegnarlo allorché avrebbe fatto la provisione per la sua casa. E benché più e più volte avesse condotto il vino nascostamente in casa, per restar insciente l’amico fu trattenuto più d’un mese con buone parole. Alla fine non puoté  conseguire il vino, col motivo d’essere disbrigato e venduto. Perloché da molti cittadini familiarmente si discorse tal azzione, rimproverandosi il sacerdote. E puoco mancò che non avesse seguito alcun contrasto per aver entrato il puntiglio. Ma per la bontà del creditore (benché burlato) si sussegò il negozio, restando solamente in tutta la città le mormorazioni per il malissimo tratto d’un sacerdote.

 

23 gennaio 1719

Continuano i bombardamenti, uccidendo militari d’ambo gli schieramenti e distruggendo fabbricati.  Sbarco di 400 fanti tedeschi venuti da Tropea. Arrivo di viveri da Napoli e Tropea. Schifazzo proveniente dalla Calabria, carico di farine destinate a Milazzo, depredato in prossimità del Capo da altre imbarcazioni vicine agli Spagnoli 23 gennaro. Non ebbero tregua alcuna le batterie di cannoni e bombe d’ambe le parti, anzi col disparo commune di quantità di scopettate nelle trinciere, seguendo la morte di diversi soldati, specialmente di granatieri di Savoja e Piemonte della nostra parte, colla presupposizione d’aver sortito l’istesso nelli Spagnuoli. E s’osservò in questo giorno che, con tutta la quantità di bombe e cannoni disparati in città, non sortì alcun danno nelle persone, bensì avesse restato in più luoghi essa città disfatta col demolimento di più case. Disbarcarono doppo magnare quattrocento fanti tudeschi venuti da Tropea sopra alcune tartane, molto affannati per avere stato più e più giorni sopra il mare per il tempo cattivo e venti contrarij, essendo tutti sudetti soldati del regimento del colonello Bayrad. E riferirono, assieme con li padroni dell’imbarcazioni che li condussero, dover venire fra breve altre truppe.

Inoltre, vennero altre imbarcazioni da Napoli e Tropea con aver condotto molte provisioni di viveri, carni salate ed animali bovini e minuti per conto di particolari, con aver affermato che fra pochi giorni sieguirà l’istesso. E con tutto ciò la città non si puoté sfamare per essere stata molto angustiata senz’alcuna sorte di vettovaglie. Di più, quattro felughe lunghe, corsari e di Lipari e di Messina, trattenute a favore del nemico Spagnuolo, predarono sopra il Capo di questa città uno schifazzo pieno di farine, qual veniva da Calabria per provisione di questa città.


 

 
 
 
Giungono da Napoli diverse tartane cariche di bombe, granate e cavalli. Arriva in città, a bordo d’una tartana, Don Giacomo Fusari Grimaldi per ispezionare le operazioni militari Nel medemo giorno sul tardi giunsero molte tartane da Napoli col carico di cinquemila bombe e granati reali. E sopra due tartane ben grosse e corredate, una francese e l’altra di Genova, sessanta cavalli. Venne pure sopra dette imbarcazioni un espresso inviato da Roma dall’ambasciadore cesareo in quella corte, l’eccellentissimo signor conte Galas, al signor generale Zumjunghen, comandante tudesco in questa città per la Cesarea e Catolica Maestà. Quale serio è della terra di San Fratello nel nostro Valdemone, in questo regno di Sicilia, nomandosi signor Don Giacomo Fusari e Grimaldi, con aversi da più tempo trattenuto da gentiluomo nella corte di detto signor marchese [conte, ndr] Galas, ambasciatore, per aver anni a dietro fatto partenza del regno per causa dell’interdetto (come lui ha publicamente dichiarato). Ed ebbe in questa continui e familiari discorsi col detto signor generale Zumjunghen, con aversi trattenuto per tutto il tempo che commorò in questa nel medemo convento di San Domenico, ove albergava il medemo signor generale. E per quanto si puoté  penetrare, il sudetto inviato fu rimesso per raguagliare con ogni accortezza il seguito della presente guerra, per esser realmente soggetto molto perspicace e di sottile intendimento.

 

24 gennaio 1719

Morti e feriti nelle trincee. La casa di Pietro Guerrera viene colpita da una palla di cannone, ma i soldati che la occupano rimangono illesi. Sbarco di una compagnia di granatieri tedeschi giunti da Tropea 24 gennaro. Nelle trinciere fatte contro gli Spagnuoli morirono in questo giorno quattro soldati e molti restarono gravemente feriti con le pietre gettate da’ mortari delli sudetti Spagnuoli. Fu continuo il fuoco dal mattino sin a sera della batteria di cannoni disparati, specialmente dal forte del Purracchito contro questa città, senza alcuna intermissione di tempo, col gettito di quantità di bombe, fracassando quantità di case, senza danno alcuno di persone. E benché una palla di cannone del forte sudetto avesse dato nella casa del signor Pietro Guerrera, nel quartiero di Santa Caterina, trapassando tre camere continue tutte abitate da tedeschi, tutti restarono illesi. Fracassata bensì una fenestra, ove entrò, e due porte con l’altri mura per insino corse. Pure disbarcò una compagnia di granatieri tudeschi del riferito regimento di Bayrad venuta da Tropea.

 

25 gennaio 1719

Ancora case distrutte,  morti, feriti e danni ad alcune imbarcazioni 25 gennaro. Seguirono al maggior segno le batterie di cannoni contro la città, con il disfacimento di più case, con aversi gettato la notte precedente molti mortara di pietre. Perloché sortì la morte d’alcuni soldati nelle nostre trinciere, oltre la quantità delli feriti, ed alcune cannonate molto danneggiarono alcune imbarcazioni sino al Capo di questa.

 

Diserzione di un caporale spagnolo che riferisce informazioni poco attentibili Comparì all’alba un caporale spagnuolo avendo desertato dal suo campo. Era di Madrid, referì molte relazione, ma si conobbe non esser veridiche, dettate o per suo proprio genio o per non penetrarsi il vero col suo attestato. O pure per esser di puoca perspicacia e non aver badato a discernere la distinzione del seguito. Ma spesso procede il tutto per tema [per timore, ndr] che propalandosi [divulgandosi, ndr] l’opre d’un esercito non recasse pregiudizio all’esploratori, con tutto che se ne fuggissero, anzi col pericolo di perder la vita tutte le volte fossero trattenuti nella fuga, o per qualunque accidente retornassero nelle milizie che colla fuga abbandonarono.

 

Trasferimento a Tropea dei soldati feriti a causa della mancanza di ospedali e della penuria di medicine  Ritrovandosi copiosa quantità d’infermi tudeschi e di Savoja e di Piemonte ed in nessun modo puotersi attendere alla loro cura, cossì per mancanza d’ospedali ben regolati e di medicamenti necessarij, come per esser realmente più e più centinaia, s’ordinò che s’imbarcassero per Tropea, avendo seguito la partenza di trentacinque soldati tedeschi e più di cento dell’altri.

 

26 gennaio 1719

Le pietre lanciate dai mortai spagnoli provocano nuovi decessi nelle trincee. Diserzione di altri militari spagnoli, i quali riferiscono che il campo abbonda di viveri, ospitando 14.000 militari. Altre case al Borgo danneggiate dalle bombe e penuria di viveri. Ancora morti e feriti (alcuni mutilati) nelle trincee austro-piemontesi a causa delle pietre lanciate dagli Spagnoli 26 gennaro. Fu in questo giorno fervoroso il rimbombo continuo delli cannoni e bombe delli Spagnuoli contro la città e nelle nostre trinciere, nelle quali perirono molti soldati che si retrovavano di guardia per la quantità di pietre in esse gettate: servendosi gli Spagnuoli delli mortari con pietre, avuta la notizia che molto danneggiavano le nostre truppe in dette trinciere, per non aversi ritrovato sin al presente ricoperti con tutta la regola militare. Il che poscia s’eseguì, e cossì si venne a scemare in parte il danno sortito.

Bensì non si cessava da questa città e da fuori d’esercitarsi il fuoco pure continuo per tutto il giorno e di cannoni, e di bombe, e con pietre nelle trinciere delli Spagnuoli. E si ebbe notizia veridica che consequivano danno  notabile non solo delle pietre, ma di molte palle di cannoni disparate a colpi giusti nelli loro forti.

Desertarono pure in questo giorno dal campo spagnuolo cinque loro soldati con un sargento. Riferirono esser abbondante detto campo di viveri, con ogni commodità di spendere liberamente; e retrovarsi otto reggimenti ben fioriti di bravi soldati al numero di 14 mila.

Fra l’altre bombe disparate in città due creparono in aria, l’una e l’altra nel Borgo vicino il convento di San Domenico, molti pezzi delle quali fracassarono le case di padron Vincenzo Buccafusca e di Mariana Bonaccurso, puoco distanti l’una dell’altra, entrando dalli canali e fenestre. E benché fossero state terrane e picciole, piene di quantità di persone affollate per necessità della guerra: non seguì danno alcuno di esse, ma precipitati gli tetti e disfatto il mobile.

Non cessava la carestia, rendendosi la fame intolerabile per mancanza di viveri. Ed il peggio era che gli poveri non solamente pericolavano la vita, per non esserci comestibile, pure quella poca quantità che con industria si puoteva ritrovare, ed a prezzo esorbitante, non avevano formalità di comprare. Nonostante le bombe e cannoni disparati dalli Spagnuoli per tutto questo giorno, pure nella notte non cessarono le pietre nelle nostre trinciere scagliate, ove restarono molti uccisi ed in quantità feriti. E alcuni stroppiati, chi senza un braccio e chi senza un piede, se pure restarono in vita.

 

27 gennaio 1719

Continuano le diserzioni dal campo spagnolo. Sbarco al Capo di fanteria tedesca trasportata, con munizioni e viveri,  da Napoli e dalla Calabria a mezzo tartane 27 gennaro. Venne all’alba un soldato granatiero di Piemonte in questa, avendosene fuggito dal campo spagnuolo nel buio della notte passata. Asserì che, avendo rimasto prigioniero nella città di Palermo, prese partito nelle truppe Spagnuole. Ed avuta in quella notte l’occasione pronta, per ritrovarsi nelle trinciere di guardia, prese la fuga. Come pure sul tardi venne da detto campo altro desertore di nazione tudesco. Né l’uno, né l’altro riferirono cosa di sodo, perloché non si fece reflessione alcuna sopra il loro racconto.

Nell’istessa notte antecedente disbarcarono nel Capo di questa città molte fanterie tudesche, con alcune provisioni di guerra e di viveri, condotte d’alcune tartane che vennero da Napoli e Santa Eufemia in Calabria. E la sera ben tardi disbarcarono altre truppe tudesche con consimili provisioni. Riferirono esservi grandissimo provedimento di truppe in Napoli e per tutto quel regno ed in Calabria, dovendosi tutte conferirsi in questa città.

 

Catturato dagli austriaci l’equipaggio d’una barca da pesca di proprietà del sacerdote Matteo Buccafusca che riforniva abitualmente le truppe spagnole  Nella medema notte fu predata una barchetta del sacerdote Don Matteo Buccafusca, con sei marinari e con alcune reti da pescare, da un Pinco armato che scorreva in questi mari al servizio della Maestà Cesarea Catolica. Essendo le persone tre di questa città, due fratelli ed un figliuolo dell’uno di casa Cullura, e l’altri tre di Palermo. E tutti furono posti in carceri ove commorarono per alcuni giorni. E doppo ottennero la libertà colla perdita della barca, poiché la detta barchetta avea disbarcato nel campo spagnuolo molta provisione di viveri, con l’intelligenza del Buccafusca padrone di detta barca, il quale sempre commorò in detto campo dal principio dell’Assedio, anzi più prima, sin al fine. E seguì detta preda nel mar da dietro e quasi nella ripa vicino al campo sudetto.

E così s’attribuì a miracolo a pro del sudetto sacerdote di Buccafusca per non aversi retrovato sopra detta sua barchetta, conforme di continuo pratticava o esercitando la pesca con dette reti, o conducendo viveri in detto campo spagnuolo, per lucrarsi e dell’uno e dell’altro mistiero, per essere prattichissimo d’entrambi. Poiché se avrebbe venuto prigioniero cogli altri, inremissibilmente pericolava la vita, mentre il signor comandante Missegla li teneva  in malissimo concetto. Ma con giusto motivo, avendo avuto notizia che, nel passaggio che fece l’armata Spagnuola in questi mari, lui fu il primo a condursi nelle navi nemiche, solo per lucrarsi colla vendita d’alcuni viveri che li recò. Anzi esercitò tal mistiero ritrovandosi il campo nella Piana. E spesse volte fu invigilato per inciampare e sempre restò illeso con detta sua barca.

E conoscendo che si manifestarono questi azzioni al detto comandante Missegla, si retirò cogli Spagnuoli, non retornando più in città. E con tutto ciò li suoi congiunti, specialmente la madre, interposero le loro fervorose instanze col mezzo del Padre Lettore Fra Rajmondo Proto, domenicano, al detto signor comandante, acciò, disingannandosi dal rappresentato contro sudetto sacerdote di Buccafusca per esser opra d’emulazione, li dasse il permesso di retornar liberamente in città. E benché recalcitrasse molto il comandante sudetto, nientedimeno s’appagò a contemplazione del Padre Proto, dal quale s’ottenne il permesso in scriptis. E con tutte queste preserve il sacerdote Buccafusca non volse condescendere al retorno e, strettosi l’Assedio, il Buccafusca restò nel campo. Il Padre Proto, deluso, ed il comandante, con l’impressione del mal termine adoprato. Per onde, se era preso sopra detta barca, il Buccafusca avrebbe sofferto alcun infortunio ancor colla perdita di sua vita. E con puoca sua sodisfazione.

 

Ancora morti e feriti nelle trincee a causa delle pietre lanciate dai mortai Pure in tal giorno non cessò il fuoco né dell’una, né dall’altra parte, seguendo la morte d’alcuni soldati con altri feriti nelle trinciere per causa di gettarsi molte pietre, disparandosi molti mortari. E nella città non seguì danno alcuno di persone, solo il disfacimento delle case in più parti.
 


28 gennaio 1719

Diserzione di un soldato spagnolo che riferisce di diversi morti e feriti tra le truppe, anche a causa delle cannonate sparate dal bastione di S. Maria, entro la cittadella fortificata. Riferisce ancora di penuria di denaro e di viveri nel campo. Circola la voce che il Re di Spagna abbia promesso d’inviare al più presto soccorsi 28 gennaro. Venne questa mattina un soldato spagnuolo di Valenza, desertato dal campo. Riferì che il cannone del bastione di Santa Maria, nella Cittadella di questa, molto ha danneggiato le truppe con l’uccisione di più soldati, colpendo appunto e nelle trinciere, e nelli forti dalli Spagnuoli dirizzati. E che le bombe e le pietre scagliate e nel campo, e nelle trinciere, puoco offendono alle squadre, per aversi ordinato in dette Trinciere quantità di tavoloni per custodia. Bensì nel giorno antecedente furono con una palla disparata dal comandante nel detto bastione uccisi cinque soldati spagnuoli, restando molt’altri feriti.

Di più affermò correre gravissime infermitadi nelle squadre ed esserci scarsezza di denaro, perloché si diede ordine espresso che dovesse accettarsi tutta la moneta di Spagna dalli venditori nel campo, con tutto che fosse mancante, poiché pria non era ricevuta, atteso il mancamento sudetto. Inoltre non concorrere più gli paesani a condur vettovaglie per vendersi, poiché gli soldati non li volevano pagare la robba, onde molto pativano di viveri, non volendo nemeno gli officiali dar la providenza acciò gli soldati si puotessero lucrare, ritrovandosi in generale la scarsezza sudetta.

Di più retrovarsi nel campo nemico ventotto regimenti, entrando di guardia nelle trinciere ed in altri posti ogni sera ben tardi sette battaglioni, che persistevano due giorni continui. E finalmente che il signor comandante speciale notizia dal suo Re Filippo Quinto, che persistesse nell’assedio con ogni attenzione, che ben presto avrebbe conseguito da Spagna il soccorso necessario. Se ciò fosse stato vero non si può affermare, per non sapersi se la relazione fosse certa.

 

Il Wallis ordina l’abbattimento di altri fabbricati allo scopo di recuperare legname per cucinare e per infornare il pane per le truppe Per mancanza di legna in questa città a quei officiali tudeschi colle loro truppe che la presidiavano, col pretesto d’esserci necessità di far campagna rasa nella parte inferiore della città, si sfabricarono molt’altre case e magazeni, insistendo gagliardamente il signor generale Vallais. Il che rassembra incredibile che, necessitando legna per cocinare gli soldati cogli officiali, e per farsi il pane per le truppe, si demolissero senz’alcuna circospezione le case delli poveri cittadini. E pure seguì, non puotendo nemeno dar le sue querele gli abitanti al sudetto signor Vallais generale, per aversi osservato più volte rendersi infruttuose. Solamente offrirono con dolori eccessivi questi danni, raccomandandosi a Dio, per non impatientarsi. Anzi non si diede alcun riparo né dal detto signor Vallais, né dagli altri, che gli soldati non demolissero più e più case nel Borgo della città e sotto le mura della Cittadella e dentro d’essa, ed in altre parti convicine. Specialmente quelle che non erano abitate dalli padroni o per aver rimasto nella Piana o retiratosi nel Capo per timore. E cossì evidentemente si scorgette che volevano sfabricare case per li legna e non per far campagna aperta, come si protestavano. Onde si considerò che non potendo li poveri cittadini alcanzare [conseguire, ndr] cosa di buono per non demolirsi le loro case, ricorsero alli spettabili giurati della città per rappresentare le loro afflizioni così al signor generale Zumiunghen, comandante, come al sudetto signor Vallais. E ciò nonostante si continuò la demolizione di dette case o per non aver avuto luogo la ragione apparente di detti signori giurati o forse per non aversi ingerito l’istessi per la defenzione di un publico laqueato.

 

Soldati saccheggiano le case bombardate Al solito fu molto continuo il disparo delli cannoni e bombe disparate in città dal campo spagnuolo, esercitando il consimile quello di questa città e delli bastioni di fora contro gli nemici. E benché non avesse seguito danno di abitatori, nondimeno restarono molte case sconquassate ed altre dell’intutto dirupate con la perdita di tutto il mobile di quelle case che in tutto o in parte si demolivano. Stante che data una bomba in alcuna casa, e quella dirupata, se si retrovava albergata da paesani, questi per il timore fuggivano, e se era serrata pure per alcun accidente l’assaltavano nell’instante molti soldati, quali facevano il sacco di tutto quello che in essa era riposto. E ciò seguì dal principio che si gettarono le bombe sin al fine dell’Assedio. E per nessun modo si puoté evitare tal inconveniente cossì infausto e miserabile, per non dir crudele e mai praticato.

 

29 gennaio 1719

Informazioni di dubbia attendibilità sul campo spagnolo da due disertori delle truppe spagnole 29 gennaro. Desertarono in questo giorno dal campo spagnuolo due soldati del regimento di Burgos. Riferirono esservi in quello da 14mila fanti, oltre la cavalleria, e ritrovarsi pure grand’abbondanza di viveri. Bensì a tali desertori non si può dar credito alcuno, poiché d’un giorno all’altro tra loro discordano.

 

Le artiglierie danneggiano due case al Borgo, quella del maestro Antonino Trimboli al Borgo, saccheggiata dai soldati ed ubicata sotto la chiesa di S. Gaetano o di Maria SS. della Catena, e quella di un Cesare Irato Dalla notte antecedente sin all’alba continuamente si fecero a sentire le bombe, disparandosi pure mortari di pietre nelle trinciere d’una parte all’altra. Ed inoltre si dispararono nelle dette trinciere più migliara di focillate, perloché molti furono uccisi ed alcuni gravemente feriti, così di soldati tudeschi come piemontesi e savoiardi. Ed il fuoco delli cannoni e bombe persistette dalla mattina sino la sera, numerandosi più di mille. Restando gli poveri cittadini nonché storditi per il rimbombo frequente, spaventati al maggior segno, per timore di non perder la vita disgraziatamente. Avendosi osservato che il cannone nemico abbia perlopiù tirato nella parte inferiore della città, ove, per la vicinanza e per esser le case più contigue, seguì in esse danno notabile. Come pure tra l’altre fu disparata una bomba, quale fracassò in tutto la casa di mastro Antonino Trimboli sotto la chiesa di Santa Maria la Catena e nell’instante gli soldati la rovinarono, predando non solo il mobile, ma pure togliendo li legna del tetto e porte e fenestre (conforme al solito), maggiormente che il padrone era retirato al Capo con altri per lo spavento. Il quale, concorso per ricuperar il mobile, nemeno poteva entrare nella sudetta sua casa per la moltitudine di tanti soldati che con ogni disinvoltura si prendevano tutta la robba senza nemeno puotersi parlare. E questo pure seguì in altre parti della città nella parte inferiore, per aversi disparato più e più cannoni con quantità di bombe dalli Spagnuoli con danno notabile.

Pure una palla di cannone disparata contro la città entrò in una casa di Cesare Irato, nel quartiero del Borgo, dal muro che dava allo Scilocco, la quale era piena di soldati tedeschi affollati per esser terrana ed angusta. E nel tempo che alcuni mangiavano, altri suonavano, altri travagliavano ed altri infermi sul suolo. E con tutto ciò la palla data nel sudetto muro, e quello fracassato, entrò dentro e, contro l’ordine naturale, s’inalzò in aria e doppo cadette in un picciolissimo vacuo, nel quale non si retrovava alcun soldato e cossì s’ammirò la stravaganza.

 

Gran parte della cavalleria trasferita in Calabria per penuria di mangimi per i cavalli Tutta la cavalleria che si retrovava in questa città, e nel Capo e nel Purracchito sotto le falde del Regio Castello, per mancanza d’erba ed orgi e di pascolo, avendosi per molti giorni sostentata con puoca quantità di formenti, comprandosi a prezzo esorbitante, fu necessario, per non perire tutta di fame, darsi ordine dalli signori generali che fosse imbarcata sopra molte tartane a ciò deputate per Calabria. Il che seguì verso il tardi, bensì molti cavalli periroro e quei imbarcati erano di puoco servizio. Perloché restarono alcuni puochi dell’officiali e di personaggi particolari.

 

Giungono viveri dalla Calabria e da Napoli Vennero pure da Calabria e da Napoli, sopra molte e diverse imbarcazioni, molti viveri, quali sempre si comprarono e dalli soldati e cittadini a prezzi molto esorbitanti. Almeno non avesse seguito la frode e nel peso e nella misura.

 

Armistizio tra le truppe spagnole e quelle austro-pienontesi sospende per due ore le ostilità In questo giorno ad ore 21 seguì l’armestizio, avendo andato in mezzo le trinciere - da parte del signor generale Zumiunghen - il signor comandante Missegla et il colonnello Refuistargusch del Regimento di Paruith, tedesco, e - da parte del signor comandante spagnuolo - altri due suoi officiali. E discorso da mezz’ora, si divisero. Almeno in città s’ebbe un puoco di tranquillità per breve spatio d’ore due, persistendo detto armistizio. Bensì questo complito, di subbito si principiò il disparo delli cannoni, con gettarsi quantità di bombe, pure con pietre d’ambe le parti. Ed inoltre tutta la notte si dispararo nelle trinciere più migliara di schioppi.

 

30 gennaio 1719

Tre disertori attestano l’abbondanza di viveri nel campo spagnolo 30 gennaro. Desertarono su l’alba tre soldati di fanteria dal campo spagnolo, due francesi e l’altro di Burgos nella Spagna. Furono seguiti con molte focillate, ma vennero illesi. Riferirono solamente che nel campo si retrovava copiosa abbondanza di viveri con alcuna scarsezza di denari. Ed avuta la commodità s’imbarcarono per Napoli.

 

Le artiglierie sempre in azione con morti e feriti Si stiede in questo giorno nella città con grandissimo timore, stante che il fuoco non cessò dall’alba sin a sera, avendosi disparato continuamente tutti li cannoni d’ambe le parti col gettito di più bombe e granati reali. Bensì non fu offesa persona alcuna, solamente seguì la demolizione di molte case. E la notte nelle trinciere si disparavano molti schioppi di continuo e li mortari con pietre non cessarono. E sempre alcuni delli soldati restavano o morti o malamente feriti.

 

Si trasferiscono i mortai, sia per bombe che per pietre, dalla cittadella fortificata ad altre postazioni più basse per meglio attaccare gli Spagnoli Nel giorno antecedente, come in questo, si condussero tutti li mortari di bombe e di pietre che si retrovavano nella cittadella ad altre parti della città, fori di essa, nelle fortificazioni fatte nella Porta di Messina, nel forte di Ferrandina ed in altre per più danneggiare al nemico spagnuolo.

 

31 gennaio 1719

Giornata in cui il fuoco delle artiglierie sembrò accanirsi più del solito 31 gennaro. Pretendevano gli Spagnuoli prendere la città col disparo delli cannoni e gettito di bombe e granati reali, sperando intimorire e spaventare gli soldati che erano in questa città, quando che questi, oltre esser gente molto bellicosa e sperimentata nell’arme, se vedevano le palle di cannoni e le bombe che erano gettate, ancor che fossero uccisi o li loro compagni o paesani, si mettevano a ridere con dar mille rimproveri ed ingiurie alli Spagnuoli, stimandoli da poltroni e codardi per non aver animo di assaltar la città. Onde in questo giorno eccedette al maggior segno il fuoco dal campo spagnuolo, perloché gli afflitti cittadini si retrovavano oltre il timore di perder la vita, storditi ed insensati, non sapendo che fare, né che dire, non avendo animo nemeno di porger le loro fervorose preghiere al Sommo Dio, per placar il suo giusto furore ed aver pietà di essi.

 

Bomba nel piazzale del Duomo antico ed in una casa del Borgo, sopra il convento dei Domenicani Fra l’altre bombe, una pervenne sin al piano del Duomo, nell’ombellico della Cittadella, ma per il molto scorso crepò nell’aria a vista di quantità di squadre militari. E pure li pezzi rotti di detta bomba non offesero ad alcuno, con tutto che la maggior parte di essi avesse cascata innanzi gli piedi delli soldati, li quali intrepidi se ne ridevano. Altra diede in una casa terrana del fu mastro Giovanni Passalacqua, posta nel Borgo sopra il convento di San Domenico: ed entrata nel tetto diede dentro una botte piena di vino d’un capitano tudesco, qual albergava in detta casa. E benché in essa s’avesse retrovato tutta la fameglia del capitano al numero di otto persone, tutte restarono senz’alcun danno, ma la casa tutta si fracassò e tutto il mobile restò abbruggiato.

 

Alcuni ufficiali austriaci deceduti per febbri «putride e maligne». Morte (il Barca tace, ma pare siano stati uccisi) di tre cappellani che si abbandonavano all’alcolismo anche quando avrebbero dovuto assistere un generale in fin di vita Per non tediarsi il lettore col racconto funesto continuamente, ho trascurato per più giorni non far motivo della mortalità, di più e più nonché soldati, officiali - così tedeschi come italiani di Savoja e Piemonte - e delli cittadini. Al presente stimo menzionarsi la morte d’alcuni officiali tudeschi, con febri putride e maligne, seguita in questo mese, poiché se si volessero descrivere tutti sarebbe numero indicibile. Ogni regimento delli tudeschi condusse il suo cappellano, oltreché in alcuno di quelli se ne retrovassero due di questi. Tra gli altri, vi erano tre cappellani, due domenicani e l’altro francescano, tutti tedeschi e nel fervore della gioventù, dottissimi e nella speculativa e nella scolastica, e molto fra loro parziali per esser d’una medema nazione. Allo spesso cibandosi di conversazione, per esser molto proclivi al bere del vino eccedevano nell’assaggiarlo, con disordine. Perloché, correndo l’infermità di un generale, gli amici li persuadevano che s’astenessero un puoco, ma, non volendo consentire agli consegli che se li distribuivano, tutti e tre fra pochi giorni morirono. Uno il giorno antecedente e l’altro delli Domenicani in questo; ed il terzo francescano sotto il 24 febraro. Il che recò stupore nonché agli nazionali, pure alli cittadini loro conoscenti. Il francescano era del Regimento di [segue lacuna nella copia, ndr] e si seppellì con molte essequie nella chiesa del Convento di San Domenico, con aversi fatto fare una lapide. E li domenicani nella fossa delli padri d’esso convento, con pompa proportionata.

 

Decesso di un capitano delle truppe austriache Inoltre seguì la morte di più e più officiali, cossì tudeschi come italiani. Fra gli altri, morì un capitano del reggimento del signor generale Ottobair e suo parente. Con aversi fatto l’essequie con molta pompa, associato il cadavere dal medemo signor generale con altri officiali nella chiesa di Santa Maria la Catena, ove si sepellì.

 

Modalità seguite dal Barca nella redazione del presente manoscritto Per aversi fatto la presente relazione dell’Assedio fatto dagli nemici spagnuoli dal principio dell’imbrocco senza distinzione di giorno in giorno, benché dopo vi sia il diario da 21 gennaro 1719 con qualche specialità. Ho stimato che si descrivessero tutti gli uccisi disgraziatamente e feriti paesani per causa di cannonate e bombe seguite innanzi detto giorno de 21 gennaro. Come pure tutti gli devastamenti e rovine successe nelle chiese e conventi e case principali innanzi il sudetto giorno 21 gennaro, proseguendo poscia coll’ordine giornale l’accidenti sortiti.

 

Decessi e ferimenti di civili milazzesi colpiti dalle artiglierie descritti in ordine cronologico sino al 21 gennaio 1719. Muore anche il conte di Ligneville A 16 ottobre 1718. Con una palla di cannone disparata dal forte della Tonnara di Melazzo fu uccisa Fortunata Raimondo, figlia di maestro Vincenzo, barbiero, per aver dato detta palla nella casa di sua abitazione nel quartiero del Carmine e nella stanza ove essa commorava, senz’aver avuto spazio alcuno da che fu colpita.

Il di sudetto. Con altra palla di cannone disparata dal sudetto forte della Tonnara pure fu uccisa Angela Nigrello, moglie di Pietro, ritrovandosi in un balcone della posata [locanda, ndr] del signor Don Giovanni Cirino, posta nella contrata delle Posate, propria abitazione delli sudetti come posatieri, avendo morto nell’istante che fu colpita nella coscia.

A 19 ottobre. Con altra palla disparata dal cannone nel forte di San Giovanni restò ferito gravemente Cosimo Palumbo nello braccio destro, mentre si retrovava nella senia di Antonino Guerrera, posta vicino la Porta di Messina, per aver colpito detta palla in una siepe fatta di terra e macito e pietre. E per la veemenza un pezzo di detta siepe colpì al detto di Columbo con averli rotto il braccio. E benché s’avesse medicato per lo spazio di mesi cinque, corse pericolo di serrarsi [segare, amputare, ndr] lo braccio per non aversi dato cura dal principio, ma doppo fu ferito con aver restato un puoco offeso per cagione dell’osso rotto che non si puoté dell’intutto sodare.

A 19 novembre. Nicolò Nastasi e Pietro Valvera, poveri senari, ritrovandosi sotto il bastione di Santa Maria, qual esiste nella cittadella, per aver disceso uniti da quella, furono entrambi uccisi d’una sola palla di cannone disparata dal forte delli Spagnuoli [“Spagnoli” corretto nel manoscritto con “Tonnara”, dunque sembrerebbe “forte della Tonnara”, anche se il forte in questione in verità dovrebbe essere l’altro di contrada Albero, ndr] nel luogo di Donna Bartola D’Amico nella contrata dell’Albero, con aver restato entrambi due tutti fracassati e nel petto e nelle coste d’innanzi. Uno de’ quali puoté confessarsi con segni, ma l’altro spirò in esser colpito. E di subito furono sepolti per carità nella chiesa di Santa Maria la Catena, senz’essere stati portati nelle loro case.

A di [segue lacuna nella copia, ndr] Novembre. Con un palla che venne disparata dal forte delli detti nemici spagnuoli nel Purracchito fu ucciso [segue lacuna nella copia, ndr] Russo, figlio di maestro Giobattista, il quale uscì dalla città e si conferì in detto Purracchito, vicino il convento di San Papino, per coglier fongi e mori. Subbito con aversi nell’istante sepellito nella chiesa di San Giacomo.

A [segue lacuna nella copia, ndr] fu ucciso [segue lacuna nella copia, ndr] Pulvirenti, figlio di maestro Saverio, il quale travagliava col padre nelle trinciere sotto il Quartiero delli Spagnuoli, con una palla di cannone disparata dal forte di San Giovanni. E di subbito fu sepellito nella chiesa di San Giacomo

A di [segue lacuna nella copia, ndr] con una palla di cannone disparata dal forte della Tonnara fu uccisa Beatrice Murina, moglie di [segue lacuna nella copia, ndr] e figlia di Francesco D’Amico alias Maccarruni, ritrovandosi nella sua propria casa nel quartiero di Giesù e Maria la Vecchia.

A 22 novembre. Il signor Tenente Coronello Conte di Lignovilla del regimento di focilieri di Piemonte e figlio del Governatore di Turino [trattasi del conte di Ligneville, Carlo Isnardi de Castello, figlio terzogenito del Governatore di Torino Angelo Carlo Maurizio Isnardi de Castello, marchese di Caraglio, quest’ultimo morto nel 1723, ndr], ritrovandosi nella Marina, fu disparata una palla di cannone dal forte della Tonnara, quale diede in un muro d’una casa in detta Marina. E scagliata una pietra dal detto muro, con essa restò colpito in una gamba detto signor conte, macellandosi le giunture di detta gamba con tutta la coscia. Perloché condotto in casa ivi vicina, dove albergava, si governò sino a 14 gennaro del 1719 con esquisita diligenza e quantità di medicamenti. Alla fine morì da vero cristiano, con molta pacienza, avendo lasciato tutto il mobile, qual era copioso, alla famiglia. E fu sepelito con molto fausto e con l’essequie momorabile in San Domenico, con aversi affisso nel suolo in mezzo la chiesa una lapide con le sue arme. E fu pianto dalli suoi nazionali e quasi da tutti li cittadini, per essere stato un cavaliero di molta bontà e giovanetto leggiadro.

A 4 dicembre. Nella notte fu disparata una palla di cannone del forte nel Purracchito, entrò nella chiesa di Giesù e Maria la Nuova e fu fracassata dell’intutto la Sacra Imagine di marmo di Nostra Signora Maria.

 

Danni alle chiese e conventi cittadini A 5 dicembre. Nella medema venerabile chiesa di Giusù e Maria la Nuova, e nelle stanze de’ Padri di San Filippo Nerio che in essa commorano, hanno successo molti e molti danni per causa di palle di cannoni, bombe e granati reali disparate dalli forti e trinciere delli Spagnuoli. Perloché detti Padri alla sfuggita celebravano le messe non commorando di continuo nelle loro stanze. E benché fossero tutte le mura perforate di palle di cannoni ed in molte parte rotto e precipitato il tetto, e sconquassati parieti e fenestre e porte, nondimeno in questo giorno una bomba entrò in chiesa e, crepando in essa, si disfece in tutto la Santissima Imagine dell’Ecce Homo con tutte l’invetriate che si retrovavano nella cappella, ove con molta devozione la detta Venerabile Imagine s’adorava da tutto il popolo. Ed inoltre altri maggiori danni colla morte di alcuni Padri retirati, come in appresso si esplicherà.

 

I Padri di San Francesco di Paola fuggono al Capo Nel venerabile convento di San Francesco di Paola hanno seguito molte cannonate e bombe, con l’uccisione di più soldati tedeschi che residevano in esso da più tempo aqquartierati. E di molti altri feriti, con aversi disfatto due dormitorij per le bombe in detto convento crepate, oltreché tutte le mura con li tetti furono perforati da palle di cannoni. Perloché li Padri di detto convento, scielto il meglior superlettile che si retrovava, tutti se ne andarono al Capo, retirandosi nella chiesa di Sant’Antonio di Padua. Ed alle volte discendeva un padre nella città per celebrar la santa messa in detto convento, bensì nella Sagrestia per il molto timore. Ed un fratello solamente, con l’occasione di far provisione di viveri, ogni giorno scendeva in città. E cossì alla sfuggita andava in convento per osservar maggiori danni che di continuo proseguivano. Ed oltre di ciò si racconteranno altri infortunij.

 

Distrutta la chiesa di San Papino. I Padri trovano riparo a S. Antonio da Padova, dove s’erano stabiliti i Padri di S. Francesco di Paola  Nel convento di San Papino de’ Padri Reformati di San Francesco d’Assisi, fori le mura della città, avendosi fabricato collaterale al muro della chiesa un forte, con aversi posto molti cannoni per defensione della città e per offendere al nemico spagnuolo specialmente nelle sue trinciere, seguirono nel detto convento gravissimi danni per causa di molte palle di cannoni e bombe disparate dalli forti delli Spagnuoli. Perloché tutta la chiesa fu dirupata dal pedamento [fondazioni, ndr], con aver rimasto solamente minima parte in piedi dalla parte del choro. Inoltre si precipitò un dormitorio intiero di detto convento dalla parte di mare verso Ponente, restando l’altri fracassati così nelle mura, come nelli tetti.

 

Distrutto il grande quadro posto nell’altare maggiore della stessa chiesa di S. Papino Onde gli poveri Padri lasciarono in abbandono detto convento per non puotersi realmente in esso più commorare, retirandosi nel Capo nella medema chiesa ed ospizio di Sant’Antonio di Padua, unitamente con li Padri di San Francesco di Paola. Con tutto che albergassero con molto travaglio e scomodamente, con aver avuto speciale cura di trasportare tutti gli superlettili megliori nella loro abitazione al Capo, ma non avendosi tolto il quadro grande di molto valore e maestria e di fervente devozione di tutti gli Popoli, per causa della sua grandezza. [Questo quadro, ndr], che si retrovava nell’altare maggiore, fu tutto redotto in pezzi, unitamente con la cornice, restando tutto il convento in puotere delli soldati tedeschi. Ed alle volte, molto timoroso descendeva dal Capo alcun padre e nel refettorio celebrava il Sacrificio della Santa Messa: e per osservare se le reliquie remaste d’alcune stanze terrane erano ancor in piedi. Ed oltre questi, gravissimi danni maggiori in appresso si viddero, quali pure in appresso si descriveranno.

 

Il convento di San Domenico preso di mira perché - come riferirono i disertori agli Spagnoli - ospitava il generale Zumjungen Nel convento di San Domenico pure seguirono molti danni per aversi disparato in esso molte palle di cannone e con bombe, cossì nelle mura, come sopra li tetti. Una bomba dentro la Sagrestia, che non crepò. Altra nel dormitorio innanzi la stanza ove commorava il signor generale Zumjunghen, comandante, che pure non crepò. Altra sopra l’astraco del convento, che - fatto un fosso - si ruppe doppo in aria. Palle di cannoni in quantità, cercandosi dalli Spagnuoli a viva forza colpirlo, sapendo che resideva detto signor generale con il corteggio giornalmente di tutti gli officiali ed altri, tenendosi corte alla grande. Si può sinceramente affermare che detto convento, per la speciale providenza divina, fu preservato e non fu danneggiato come gli altri, quando che esso convento era il bersaglio delle palle e bombe e granati reali delli Spagnuoli, tirati con ogni attenzione dalli medemi avuta la relazione delli desertori e delli mal contenti che si retrovava il detto signor generale comandante. E pure l’altri conventi tutti desolati, benché non s’avesse riguardo come a questo, ma solo per esservi nelli sudetti li forti vicini. Onde si crede che l’intercessione della Madre di Dio del Sacratissimo Rosario e delli santi Domenico e Vincenzo molto avesse prevalutato per defensione del suo convento.

 

Il convento dei Carmelitani il più colpito dalle cannonate nemiche Nel venerabile convento di Santa Maria del Carmine non furono minori gli danni, anzi eccessero quei dell’altri conventi, poiché, oltre l’innumerabile quantità di palle di cannoni e di bombe disparate dentro d’esso convento, specialmente doppo eretto il forte con cannoni vicino detto convento e non molto lungi dalli forti delli Spagnuoli nelle contrade della Tonnara e dell’Albero. Una bomba crepò nella chiesa vicino la cappella di Santa Teresa con aversi dell’intutto fracassata.

Altra si profondò nel dormitorio innanzi il piano. Altra in camera del Padre Baccelliero Arena, con aver remasto cinque soldati tudeschi uccisi e molt’altri feriti. Altra nello scoverto ove si vende il vino e susseguentemente altra che ruppe e redusse in pezzi la campana maggiore nel campanile. Perloché tutto detto convento restò rotto e fracassato e tutto il muro della chiesa dalla parte di Scilocco verso il campo spagnuolo, sino dalli pedamenti, si rovinò. Onde li Padri di esso convento lo lasciarono in abbandono alle truppe tedesche che in esso avevano il loro quartiero ed alcune volte celebravano la santa messa in una angusta camera vicino la porta maggiore del convento. Anzi, essendo quartiero di soldati tedeschi, dalli loro officiali conosciuto l’evidente pericolo di non perder tutti la vita in ogni momento, giaché giornalmente molti restavano uccisi, si contentarono meglio retirarsi in altro luogo, ancorché scoverto, che commorava con meglior commodità nel convento sudetto, osservandosi essere lo scopo e bersaglio di palle e bombe. E finalmente seguirono altri danni - particolarmente doppo fatto il fortino vicino detto convento - che tutti in appresso si descriveranno.

 

Altri decessi e ferimenti di civili milazzesi colpiti dalle artiglierie descritti in ordine cronologico. Pietro Guerrera cura una donna colpita da una bomba A 6 decembre [1718, ndr].  Una bomba disparata dal forte del luogo di Cirino diede in casa di maestro Pietro Buccafusca nel quartiero di Santa Maria la Catena, con aversi essa casa quasi tutta demolita. Restando Leonora, la moglie, malamente ferita nella faccia, tagliate le labbra, ed un soldato tudesco, focilliero, qual  si retrovava innanzi la porta, nell’instante ucciso. Ed un altro soldato della medema nazione gravemente ferito in un braccio con averli caduti tutti li denti, qual pure doppo alcuni giorni morì con gravissimi dolori. E la detta di Buccafusca, tramortita per più ore, doppo, ricevuti gli Sacramenti, privatamente s’attese alla sua cura e, trascorsi molti mesi, dell’intutto si guarì senza averli rimasto alcun defetto, tolte le cicatrici nelle labra con l’assistenza di Pietro Guerrera, prattichissimo in tal mestiero per il molto studio da esso fatto e colla composizione d’un balsamo sperimentato, dal medemo composto.

 

Pietro Napoli, cannoniere delle truppe piemontesi, colpito a morte da una palla di cannone sparata dal forte della Tonnara di Milazzo e giunta sino al fortino dei Castriciani, ove centrò il malcapitato «con averli fatto uscire li bodelli» A 6 decembre. Pietro di Napoli di questa città, cannoniero da più tempo per l’arme di Savoia, uscito di guardia dal bastione di Santa Maria nella Cittadella, per divertimento si conferì sopra il monte nominato di Castro, luogo in mezzo la città ed assai eminente, per riguardare tutti gli posti delli Spagnuoli, essendo tutti discoperti. Ove giornalmente per curiosità si conferivano molti e molti cittadini, sembrandoli sito proporzionato per restar senza danno dalle palle che nella città venivano dalli bastioni delli Spagnuoli gettate. E doppo esso di Napoli aver riguardato il disparo delli cannoni nemici, per breve spazio, ritrovandosi dietro un massiccio di pietre ben custodito, fu disparato un cannone del forte della Tonnara e la palla data pochi passi lontano dal luogo ove resideva: e rintuzzata in altri sassi, venne a ferire al detto di Napoli - con tutto che stesse nascosto - nel ventre, con averli fatto uscire li bodelli. E portato in casa conseguì gli Sacramenti e, doppo ore cinque, parlando rese l’anima con ogni tranquillità, incoraggiando e persuadendo gli astanti e congionti a non compassionarsi col dolore, coll’attestazione d’esser così la disposizione divina, per certo che fu speciale segno della sua predestinazione per aver morto con segni evidenti di vera contrizione. E la mattina sequente fu sepellito coll’associamento delli fratelli del nome di Giusù, essendo uno di essi, nel suo Oratorio del Convento di San Domenico.

 

Il Barca annota altri due decessi per palla di cannone sparata dal forte della Tonnara. Rimasta illesa la moglie dello stesso Barca nel piano di San Domenico al Borgo A 11 decembre. Si retrovava Domenico Corrao, povero travagliatore, qual per lucrarsi il vitto vendeva vino innanzi la porta della casa di maestro Salvo di Liberto, a dirimpetto del convento di San Domenico. Fu con una palla di cannone disparata dal fortino della Tonnara colpito nella testa, con aversi redotto in pezzi. Restando altri che seco erano uniti ed in piedi senza danno. E doppo la medema palla corse per tutto il piano di detto convento e diede con grandissimo furore in una cantonera di pietra nella casa del signor Domenico Barca, nel termine di detto piano. E benché s’avesse per accidente ritrovato la signora moglie del sudetto di Barca in mezzo la porta di detta casa un passo, anzi meno, distante da detta cantonera, che discorrea con una sua serva sopra l’occorso al detto di Corrao, restarno queste illese. Anzi, la medema palla retornata con furia indietro ferì malamente un soldato tedesco nella gamba, qual era in detto piano. E per detta ferita pure tra pochi giorni morì. Ed il detto di Corrao di subito fu sepolto nella chiesa di Santa Maria la Catena.

 

Continua l’annotazione di civili morti e feriti A 21 decembre fu disparata una bomba dal forte nel Purracchito. Diede nella casa di maestro Antonino D’Amico, posta nel Borgo a dirimpetto della chiesa di Santa Caterina, nella quale casa si ritrovava Giovanna, moglie del sudetto D’Amico, con molti figli e col padre della medema. E non solamente si precipiò tutto il tetto, pure il solaro fatto di gisso con travi, rompendosi inoltre la porta di pietre e legname d’innanzi. E solo restò ferita la sudetta Giovanna nel piede ed offesa nelli reni, che fra pochi giorni si guarì. E si attribuì a miracolo non avendo successo danno notabile, poiché detto solaro si precipitò sin nel suolo in pezzi, alcuni di più d’un cantaro.